Soprattutto per la politica economica siamo in una sorta di purdah period, il 'tempo sospeso' che porta a un appuntamento elettorale, in questo caso il voto del 26 maggio per Parlamento e Commissione europei. Su tutto prevale, infatti, lo scontro elettorale che le due forze della maggioranza vanno intessendo tra di loro, sostituendosi anche in questo ruolo all’opposizione e stancando i protagonisti stessi e, soprattutto, i cittadini.
La realtà, con le sue urgenze, è come messa tra parentesi e tutto sembra permesso. L’alleanza del contratto giallo-verde è diventata così una sorta di nuova 'casa delle libertà', dove tutto finisce disordinatamente accatastato su di una giostra impazzita: dall’emergenza morale alla cannabis, dalle tasse alla leva obbligatoria, dal conflitto d’interessi al salario minimo… Ben venga allora il rito elettorale perché, dopo il 26, volente o no la maggioranza sarà costretta di nuovo a misurarsi con emergenze e doveri, che certo non sono quelli di multare chi salva vite umane in mare.
Due in testa: il malaffare, dopo la dimostrazione che il cancro della corruzione sta producendo nuove metastasi, e l’economia reale. Dopo le non esaltanti euro-stime di primavera, gli appuntamenti con le Considerazioni finali del governatore Visco (a fine mse) e le ' Raccomandazioni Paese' della Commissione Ue (5 giugno) richiameranno un po’ tutti alla dura legge dei numeri e alle scelte, si spera, utili e responsabili. È da auspicare che, dopo il voto, non si vorrà temporeggiare ancora nella speranza, che però potrebbe presto tradursi in delusione, che a ottobre una nuova Commissione potrà essere un toccasana perché smobiliterà alcuni vincoli e limiti oggi attivi. M5s e Lega dimostrerebbero di non aver ancora compreso che le riforme di struttura, necessarie per favorire investimenti e lavoro, sono problemi da affrontare a prescindere dall’Unione perché la loro soluzione risponde innanzitutto a interessi nazionali.
Anche se il 5 giugno non si materializzasse una procedura d’infrazione Ue contro l’Italia per lo squilibrio dei conti pubblici, restano queste gravi carenze che, invece, richiederebbero la predisposizione di misure sin d’ora anche per un raccordo con la Legge di Bilancio, la quale dovrà affrontare il problema degli aumenti Iva. Sarebbe un errore andare incontro all’estate senza prevenire e rinviando tutto alla ripresa, quando si correrebbe il rischio di affrontare oneri ben maggiori. I punti deboli ben noti esigerebbero, innanzitutto, un piano organico per il debito pubblico che tenti di controbattere la pur possibile censura per debito eccessivo e per scostamento dagli obiettivi di medio termine che verrà da Bruxelles.
Gli impegni devono essere certi e stabili, anche se sequenziali, tenendo conto che non sono ancora maturi i tempi per conseguire, a livello europeo, una mutualizzazione dei debiti, dato che non si è ancora riusciti a contrastare efficacemente la tesi tedesca della drastica riduzione dei rischi prima di una loro eventuale messa in comune. Occorre por mano non a una manovra correttiva, ma a una manovra integrativa per questa parte dell’anno, considerata la generale scarsa efficacia delle misure fin qui varate.
Si sgombri però il campo da dichiarazioni sullo sconfinamento del deficit perché si è già visto come si finisce: dopo aver fatto fuoco e fiamme si arriva poi ad accettare a capo chino le indicazioni di Bruxelles. Quanto più si riesce a dimostrare di avere impostato, dopo accorta valutazione, una politica economica all’altezza dei problemi incombenti, tanto più si è legittimati a conseguire dalle istituzioni comunitarie innovazioni nelle regole e minori rigidità. Quanto più si è capaci di intessere convergenze e alleanze – cosa per ora lontana dall’attuale esecutivo – tanto più le iniziative avranno probabilità di successo.
Insomma, a giugno bisogna dare il senso di una svolta, magari accompagnandola finalmente con una valorizzazione del negletto principio di sussidiarietà (rinunciando allo statalismo di ritorno ostile all’iniziativa economica e solidale della società civile), il che costituirebbe, però, di fatto, una vera e propria archiviazione delle pulsioni sovraniste e populiste. Perché se è vero che, come dice il ministro Tria, la stabilità politica è importante come la stabilità economica, è altrettanto vero che una buona ed efficace stabilità politica vive di contenuti validi e di libertà responsabile. Diversamente, si traduce in una assoluta rigidità avvicinandosi al rigor mortis.