Frattaminore, mercoledì primo dicembre 1971. È notte fonda, fa freddo, piove. Accade tutto all’improvviso, un boato, enorme, spaventoso, squarcia il silenzio e il sonno. Il piccolo centro, in provincia di Napoli, dove sono nato e vivo, viene sconvolto. Che sarà mai successo? Si pensa al terremoto e ci si catapulta per le strade. In breve, arriva l’agghiacciante verità: a pochi passi da casa mia, 'Palazzo Martinelli', una moderna costruzione al centro del paese, non c’è più.
È letteralmente esploso. Decine di persone sono rimaste imprigionate nel cemento. S’inizia a scavare con le mani, con attrezzi agricoli, pale, vanghe. I lamenti dei sopravvissuti sono strazianti. All’alba, finalmente, arrivano i soccorsi e i primi giornalisti. Le forze dell’ordine faticano non poco a tenere a bada la folla. Il paese è immerso in un dolore immenso. Ogni tanto alle grida di disperazione si aggiungono grida di gioia: qualcuno viene estratto vivo. Tra essi, due bambine, hanno, però, perso la mamma, il babbo, due sorelline e la nonna. Vivranno lontano dal paese che le vide nascere. Mercoledì, primo dicembre 2021. Nella stessa parrocchia dove furono celebrati i funerali, i due parroci di Frattaminore, don Mario e don Aldo, insieme all’amministrazione comunale, hanno voluto commemorare con la santa Messa e una lapide le vittime del crollo di mezzo secolo fa. Don Aldo è cugino delle due sorelline del miracolo. Vado anch’io.
Di quei giorni ricordo tutto, avevo allora sedici anni. Stringo la mano alle due ex bambine che, invece, ricordano poco di quella notte che cambiò per sempre le loro vite. Tante persone che piansero i morti allora non ci sono più, tanti loro parenti, nati dopo, non possono ricordare, ma tutti sanno tutto, perché la memoria di quella tragedia immane si è tramandata negli anni. La chiesa è piena. Don Aldo al momento del crollo aveva cinque anni, ma sua mamma ha rivissuto con lui, migliaia di volte quelle ore. Un’omelia, la sua, bella, semplice, pacata. Riconciliante. Liberante. Un’atmosfera di pace e di mistero si respira tra le navate della nostra antica chiesa. Nessuna parola fuori luogo. Solo il rispetto e la preghiera per un dolore troppo grande per essere dimenticato. Al memento dei morti ci si ferma per pochi, interminabili minuti, mentre la stessa campana di 50 anni fa, inizia a gemere. Dall’altare fisso la navata centrale. In prima fila, sedute gomito a gomito, quattro donne, due più giovani, due più anziane. Sono le donne del miracolo, estratte vive da quel cumulo di cemento sbriciolato.
Hanno vissuto la stessa terrificante esperienza. Hanno pianto e sofferto per un’intera vita. Le più anziane hanno dovuto portare, per anni, anche il peso di una colpa che non avevano. Il loro babbo, infatti, aveva avuto qualche responsabilità nella tragedia. Sono sempre rimaste a Frattaminore. La gente ha capito e perdonato. Di più, le ha amate. Ancora portano sui loro corpi e nei cuori le conseguenze di quella notte di freddo e di terrore. Le cugine di don Aldo, invece, le abbiamo riviste 50 anni dopo. Hanno pregato insieme. Hanno dato a tutti una lezione di amore e di umiltà. La lapide ricorderà alle future generazioni che un giorno, nella piazzetta dove giocano a pallone i bambini, sorgeva un palazzo. Esplose la notte del primo dicembre del 1971. Sedici persone morirono, tra esse, quattro bambini. Un’altra lapide meriterebbe un posto in quella piazza, con su scritto che solo l’amore e il perdono possono mettere fine ai cuori in subbuglio e aprire sentieri nuovi e sconosciuti. Grazie, popolo di Frattaminore. Grazie per aver contribuito a spegnere il fuoco dell’odio e delle incomprensioni. Grazie, cari sorelle e fratelli coinvolti in questa tragedia, per l’esempio dato. Amare e perdonare sono gli unici verbi che dobbiamo imparare a coniugare in tutti i modi e in tutti i tempi.