Vescovi e Gay pride. Mai la preghiera può essere «contro»
venerdì 20 luglio 2018

Gay pride e "preghiere di riparazione", i vescovi interpellati si chiamano fuori. E non certo perché sia condivisibile tutto quello che succede, purtroppo anche sguaiatamente e in modo urtante e persino offensivo per la religione, durante le manifestazioni del cosiddetto "orgoglio omosessuale" che punteggiano nostro malgrado l’estate italiana.

Tutt'altro, ma per evitare che quelle iniziative di devozione, pur quasi sempre decise con buone intenzioni, finiscano per prendere strade che non c’entrano nulla con la preghiera e con una comprensione equilibrata e serena della vita delle persone omosessuali. Schierarsi 'contro' all’iniziativa in sé, oltretutto invocando l’aiuto unilaterale di Dio, rischia di alimentare solo incomprensioni, pregiudizi e atteggiamenti di chiusura. In questa prospettiva, in cui il realismo cristiano sa coniugare misericordia evangelica e rischi sociali, si inquadra anche la decisione del vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi in vista del Gay pride che il prossimo 28 luglio sbarcherà nella capitale romagnola delle vacanze. Un comitato di cattolici 'tradizionalisti' ha annunciato un rosario e una processione per 'riparare' a quella che viene considerata una gravissima offesa ai valori cristiani e alla famiglia naturale.

Sollecitato a presiedere l’iniziativa di preghiera, Lambiasi ha ringraziato, ma ha declinato l’invito. Il vescovo si è detto d’accordo sulla scelta di disapprovare le istanze sociopolitiche che quasi sempre emergono, spesso in modo aggressivo, in queste sfilate, ha ribadito che il matrimonio eterosessuale, tra uomo e donna, non va confuso con le unioni gay, ma non ha nascosto la sua perplessità a proposito della necessità di 'riparare' con processioni e immagini sacre, alimentando inutili e pericolose contrapposizioni, ma anche rischiando di allontanare ancora di più i cattolici con orientamento omosessuale.

Lambiasi ha assunto una posizione analoga a quella espressa nel maggio scorso dal vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, Massimo Camisasca. Anche in quell’occasione c’era un Gay pride incombente e l’annuncio di una processione per riparare 'preventivamente' i peccati altrui. Camiscasca aveva preso le distanze dall’iniziativa e aveva invece pregato in cattedrale con alcuni gruppi di cristiani lgbt pronunciando parole che, senza fare nessuno sconto rispetto alla visione cristiana delle relazioni tra persone dello stesso sesso – aveva ricordato, tra l’altro, il passaggio del Catechismo che definisce gli atti omosessuali «intrinsecamente disordinati» – aveva ammesso che non sempre la Chiesa ha saputo accogliere «con rispetto, compassione e delicatezza» le persone con orientamento omosessuale.

Che è poi la linea sposata recentemente da molti presuli – dagli arcivescovi Zuppi di Bologna e Lorefice di Palermo, al vescovo di Cremona, Napolioni – in occasione della Giornata per il superamento dell’omofobia e della transfobia. La stessa saggezza mostrata dai vescovi del Molise (Bregantini di Campobasso-Boiano, Cibotti di Isernia-Venadro, De Luca di Termoli-Larino, Palumbo di Trivento) che in vista del Gay pride del 28 luglio, a Campobasso, hanno diffuso ieri un comunicato in cui salutano «con cordialità» chi prenderà parte a una manifestazione «di apertura e di verifica», un momento che pone anche domande grandi «che vanno accolte con lealtà».

Ma, chiedendo rispetto per le convinzioni religiose ed etiche di ciascuno, i presuli molisani non rinunciano a mettere in luce la bellezza e la verità della differenza sessuale, come fondamento di un’antropologia che è piattaforma di ascolto, occasione di arricchimento anche sul piano ecologico e sociale. Perché l’esercizio evangelico dell’incontro, dell’ascolto e della misericordia non significa incertezza ingenua sul piano dei valori e neppure la condivisione di eccessi folkloristici di cattivo gusto che spesso, come avvenuto di recente a Pompei, sfociano nel dileggio a simboli religiosi o addirittura nella blasfemia.

Qui la fermezza della condanna dev’essere pari almeno alla disponibilità del dialogo e dell’annuncio cristiano, nella consapevolezza che per stringersi la mano a metà del ponte ci dev’essere una volontà reciproca di comprensione e, anche, di autocritica. Ma pensare di coinvolgere i vescovi in preghiere di 'riparazione' preventive, significa ignorare da una parte il significato stesso della preghiera e dall’altra il ruolo del vescovo che è padre di tutti. Pregare – anche implicitamente – 'contro' qualcuno o 'contro' qualcosa è scelta di presunzione spirituale, illusione farisaica, espressione di un giudizio morale superficiale e quindi proposito che contraddice il Vangelo.

E Dio, ci ricordano questi vescovi, non può essere schierato come 'arma' per esorcizzare le condizioni e le scelte di vita di uomini e donne che, anche quando non condivisibili e talvolta difficilmente inquadrabili nella proposta cristiana sull’amore e sulla famiglia, rimangono percorsi esistenziali di persone alle quali non si può negare né il presupposto della buona fede né lo sforzo di ricercare il bene per loro possibile, in quel determinato momento, in quella data circostanza.

Ecco allora che il giudizio preventivo sulle coscienze, espresso con il proposito della preghiera di riparazione, rischia di contraddire il significato dell’aiuto pastorale – cioè evangelico e allo stesso tempo umano, concreto – che la Chiesa ha il dovere di assicurare sempre e comunque quando richiesto, perché anche le persone omosessuali «realizzino il disegno di Dio nella loro vita» (Al 250). Questo vuol dire vicinanza, attenzione, rispetto, accoglienza. Anche preghiera, naturalmente: umile, sorridente, aperta, gioiosa nell’avvicinare i cuori al dramma e alle speranze delle persone e di comprendere i loro punti di vista, anche quando apparentemente lontani.

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