Solo con la conoscenza possiamo giungere a un livello reale di amore. Solo provando gioia nello scoprire l’inaspettata apparizione di un fiore o il rapido frullio di ali di un uccello che da tempo non riuscivamo a vedere capiremo che cos’è la natura per noi e quanto la nostra anima si rifletta nella sua bellezza. E quanto sia importante battersi per preservarla dalla distruzione che noi stessi operiamo
Susanna Tamaro, Invisibile meraviglia
Nella Bibbia la parola hesed significa molte cose, tutte legate a qualche forma di reciprocità. Quando si nega l’hesed si spezza un rapporto, si tradisce un patto. Nell’umanesimo biblico il tradimento dell’alleanza con Dio da parte degli uomini produceva anche un disordine cosmico, riportava il mondo al caos precedente l’atto creativo e ordinatore. La disubbidienza umana generava anche l’inaridire della terra, l’avvizzire delle piante, la sofferenza degli uccelli, degli animali, dei pesci. Tutto ciò che è vivo soffre quando da custodi diventiamo devastatori: «Ascoltate la parola di YHWH, o figli d’Israele, perché il Signore ha fatto causa agli abitanti del paese. Non c’è infatti sincerità né lealtà, né conoscenza di Dio. Si spergiura, si dice il falso, si uccide, si ruba, si commette adulterio, tutto questo dilaga e si versa sangue su sangue. Per questo la terra inaridisce, avvizzisce tutto ciò che vi abita, insieme con gli animali selvatici e con gli uccelli del cielo; persino i pesci del mare periscono» (Osea 4,1-3).
«Ascoltate la parola di YHWH» è qualcosa di più di un formale invito all’ascolto in assemblea. È un segnale con cui i profeti dicono ai loro uditori che stanno per pronunciare parole diverse. Questo è un messaggio duro, parole di un Dio in causa (rib) con il suo popolo. Ci troviamo in una arringa di tribunale, e il profeta diventa l’avvocato di Dio. Le accuse sono molto gravi: spergiuro, omicidi, rapina, adulterio, delitti che hanno preso il posto della sincerità, dell’hesed e della conoscenza di Dio. E come corollario dell’accusa troviamo la parola sulla sofferenza del creato, tra le parole più profetiche di Osea e della Bibbia. Nell’ottavo secolo a.C. gli effetti su tutta la creazione del tradimento dell’hesed da parte degli uomini erano ancora poco evidenti, ma oggi possiamo constatare la verità del legame profondo tra la nostra non-custodia della terra e la vita delle piante, degli animali, del pianeta. È questo l’umanesimo cosmico, la cosmologia umana della Bibbia, dove davvero tutto è connesso, nella custodia e nella non-custodia. Se non è custode della terra (adamah), l’Adam ritorna Caino, il non-custode, e tutta la terra odora di sangue.
«Ma non chiunque si deve accusare, non chiunque si deve condannare: contro di te, sacerdote (kohèn), muovo l’accusa... Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote... Più i sacerdoti sono diventati numerosi più hanno peccato contro di me... Si nutrono del peccato del mio popolo e sono avidi della sua iniquità» (4,4-8).
Siamo di fronte a una delle più forti e dure critiche che i profeti abbiano mai rivolto ai sacerdoti e alla classe sacerdotale. La polemica nei confronti dei sacerdoti del tempio è una nota costante della profezia biblica, che in questi versi tocca uno dei suoi vertici teologici e letterari. Il capo d’accusa dell’“avvocato” Osea è chiaro, come è chiarissimo chi sia l’imputato. La sua è una denuncia ai sacerdoti, perché sviano il popolo verso culti sbagliati, e lo fanno per ragioni infime e vergognose, usano il popolo per servire se stessi. E Dio li rigetta. È questa una crisi tutta interna al mondo religioso, la sua prima e radicale perversione, l’origine di ogni forma di abuso. Oggi le crisi religiose possono prendere altre forme, tra cui quella che nega la stessa idea di Dio e considera la religione bluff o auto-inganno. Nel mondo di Osea le critiche atee erano impossibili e impensabili. Le crisi profonde erano (sono) quelle da lui descritte: le persone restavano religiose, continuavano a vivere la loro vita in un ambiente sacro, con culti, liturgie e soprattutto sacrifici, iniziavano, progressivamente, ad adorare dèi diversi da YHWH, ma grazie ai sacerdoti snaturati molti non ne erano coscienti. È probabile che i sacerdoti continuassero a chiamare i nuovi idoli con lo stesso nome: YHWH – mai dimenticare che il nome del vitello d’oro, il simbolo di ogni idolo, era YHWH. Queste perversioni finiscono in genere oltre il punto di non ritorno, perché dai tradimenti si può tornare a casa finché è chiara la distinzione tra il primo amore e il nuovo; ma quando il nuovo dio mantiene sembianze e nome del primo, ma cambia giorno dopo giorno natura, la conversione è quasi impossibile. Non si torna a casa perché pensiamo di non esserne mai usciti. Ecco perché sono le idolatrie, non gli ateismi, i nemici più pericolosi delle religioni – inclusa l’idolatria consumista-nichilista del nostro tempo –, perché l’idolo prende il posto di Dio e quasi mai ce ne accorgiamo durante la transizione. Non ce ne accorgeremmo mai senza i profeti.
Qui Osea ci dice che all’inizio di questo tradimento ci sono i sacerdoti, e che è un tradimento della conoscenza di Dio: «Un popolo che non comprende va in rovina!» (4,14). I sacerdoti iniziano a professare false dottrine e lo fanno in mala fede, perché mentono alla loro gente sapendo di mentire.Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza (v. 6): è lo stesso grido pronunciato da Paolo VI nella Populorum progressio (n. 85), una delle chiavi di lettura più potenti del nostro tempo e di tutti i tempi. Una religione senza corretta conoscenza di Dio è tra le trappole antropologiche più perfette. Qui non si tratta di conoscenza teologica o intellettuale. La conoscenza biblica è prima di tutto carne, vita, sangue. C’è sempre stata una conoscenza popolare vera, sebbene mescolata con quella falsa (i sacerdoti disonesti sono sempre esistiti), che portava le nostre nonne (marchigiane) a non tagliare il pane il 28 dicembre per non dover impugnare il coltello nel giorno della strage degli innocenti. Non era una conoscenza teologica, ma era una conoscenza vera di Dio, perché vera era la loro esperienza di Dio. La non-verità della conoscenza di Dio si manifesta nella non-sincerità, soprattutto in quella dei sacerdoti, che sanno cosa dovrebbero fare e invece fanno il contrario per seguire i loro interessi. Questo non è il peccato degli ignoranti, è il peccato gravissimo di chi sa e non fa, che nei sacerdoti è particolarmente grave e perverso perché finisce per guastare anche la fede sincera della gente che si ritrova sinceramente a venerare dèi finti. Quando accade questo, e accade, i sacerdoti si ritrovano a parlare di un dio di carta, a chiacchierare di religione senza fare nessuna esperienza spirituale. È la principale malattia grave delle religioni – ma, grazie a Dio, la vita è più grande delle nostre perversioni, e può accadere che persone sincere e manipolate possano vincere anche la corruzione dei loro capi e fare esperienze vere dentro culti bugiardi.
Osea ci offre un’analisi spietata dell’anatomia di questa malattia mortale. Presto la celebrazione del culto inizia a trasformarsi in un mestiere for-profit, e la liturgia e il culto da mezzo diventano fine. Il primo effetto di questa perversione è la moltiplicazione dei culti e del numero dei sacerdoti (v. 7). Mentre la vera religione è amministrata da sacerdoti che riducono il proprio peso e numero per liberare l’ambiente sacro e far spazio all’ascolto della “sottile voce di silenzio”, il sacerdote perverso aumenta il proprio peso, il proprio spazio e il proprio numero, perché ogni atto di culto in più aumenta guadagni e potere. I profeti hanno sempre ripetuto ai sacerdoti: non occupate lo spazio di Dio, siate custodi di un campo libero dove lo spirito-ruah possa soffiare leggero senza trovare voi e i vostri arredi sacri come pietre d’inciampo. È molta dura la vita spirituale dell’uomo religioso, perché deve esercitare, ogni giorno, l’“arte del levare’”.
Potente è la frase del versetto 8: si nutrono del peccato del mio popolo. È una delle più belle definizioni della degenerazione cui sono soggette le religioni basate sul meccanismo colpa-espiazione. Se il centro della vita religiosa delle persone e delle comunità diventa la gestione delle colpe tramite i sacrifici di espiazione, è quasi inevitabile che prima o poi affiori negli amministratori di questa impresa (i sacerdoti) una tentazione quasi invincibile: imporre prima una “tassa” sui sacrifici di espiazione e dopo far aumentare le colpe/peccati da espiare, tramite, soprattutto, la teologia del puro-impuro. Ma ciò che è certo (e qui non ci vuole neanche il “quasi’”) è che nelle religioni della colpa-espiazione il peso e il potere dei sacerdoti è grande, tende a crescere e a diventare l’unico potere. È questa la prima radice del clericalismo. Osea ci dice che attraverso queste due strade – guadagni e potere – i sacerdoti si nutrono del peccato del popolo, di una iniquità dei fedeli che viene indotta per aumentare potere e guadagni. Una oikonomia perfettamente autarchica, dove i consumatori sono gli stessi produttori. E così nelle religioni della colpa-espiazione la casistica dei peccati si espande, aumentano i manuali per confessori e si finisce per annunciare un Dio misericordioso a gente che si sente sempre più peccatrice e quindi bisognosa di perdono – la stessa enfasi sul Dio misericordioso può essere ambivalente, perché può essere usata per alimentare la cultura della colpa.
Osea ci ricorda che fa parte delle buone religioni la dialettica tra i sacerdoti che riempiono il tempio di cose, culti e ministri e i profeti che cercano tenacemente di svuotarlo di cose, culti e ministri, ponendosi come sentinelle-guardie sulla porta del tempio. Perché sanno che quando nel tempio iniziano ad entrare oggetti sacri, con loro entrano anche gli idoli, e alla fine restano solo questi: «Èfraim si è alleato con gli idoli: dopo essersi ubriacati si sono dati alla prostituzione, hanno preferito il disonore alla loro gloria» (4,17-18).
Non sappiamo cosa avvenisse sugli altari delle alture al tempo di Osea (v. 11-14). Sembra che gli israeliti avessero fatto propri alcuni riti dei popoli vicini, dove, forse, i fedeli accoppiandosi con le prostitute sacre e i sacerdoti con le giovani donne – «‘figlie e nuore’»: v. 13 – promettevano fertilità e benedizioni (pratiche manipolatrici mai scomparse).
La conclusione di Osea appare senza speranza: «Un vento li travolgerà con le sue ali e si vergogneranno dei loro sacrifici» (4,19). Da queste crisi perfette non si esce da soli. Occorre un goèl, un liberatore. Un profeta vero, che inizi a svuotare il nostro tempio fino a farci riveder le stelle. La Bibbia l’hanno scritta sacerdoti e profeti assieme, ma l’hanno salvata i profeti, sentinelle severe delle mura della città e del tempio, custodi gelosi delle porte della nostra anima. Buon anno!
l.bruni@lumsa.it