Nove anni dopo l’assurdo "gran rifiuto" della Sapienza a Benedetto XVI, Francesco ha varcato i cancelli di Roma Tre, altra prestigiosa (anche se assai più giovane) università capitolina, e ha tessuto nuovi fili di quel dialogo della Chiesa con il mondo della cultura, di cui proprio papa Ratzinger è stato uno dei cultori più grandi e purtroppo incompresi, almeno nella città di cui da pastore universale è stato Vescovo. Usiamo non a caso il termine "dialogo", perché delle molte e importanti parole pronunciate ieri dal Francesco nell’Ateneo sulla via Ostiense – a due passi dalla tomba di san Paolo, che del rapporto Vangelo-cultura aveva tracciato il primo solco nel discorso all’Aeropago di Atene – proprio il dialogo costituisce la principale chiave interpretativa.
Dialogo non solo come concetto astratto o filosofico, ma innanzitutto nei fatti. Con un gesto che gli è ormai consueto, il Papa anche in questa occasione ha messo da parte il discorso scritto e alle domande degli studenti ha risposto appunto dialogando, quasi alla maniera degli antichi maestri della maieutica, cioè di quelle scuole dalle quali l’idea dell’attuale università avrebbe preso secoli più tardi forma.
Che cos’è infatti l’universitas studiorum, ha sottolineato Francesco nel passaggio principale del suo intervento, se non «il luogo dove si può dialogare, dove c’è posto per tutti»? Che cos’è un ateneo se non il posto per antonomasia agli antipodi di una visione ideologica della vita e della scienza che – ha aggiunto – ove fosse fatta propria da una università, arriverebbe persino a negarne l’essenza e l’identità?
Di questo dialogo a 360 gradi papa Francesco ha offerto ieri diversi esempi in relazione ai temi del momento. Dialogo come antidoto ai conflitti grandi e piccoli: la prima medicina contro ogni violenza è proprio «quella del cuore che avvicina e dispone ad abbassare i toni e ad ascoltare di più». E quando non si è più capaci di farlo, «lì incomincia la guerra», ha detto. Dialogo che evita la ghettizzazione da cui spesso nasce il terrorismo: gli autori della strage di Zaventem in Belgio erano belgi, «figli di migranti, ma ghettizzati, non integrati». Dialogo nella sua forma negata (cioè l’assenza, la chiusura) che porta a non comprendere la verità di un fenomeno come le migrazioni: non un pericolo o una fonte di paura, ma uno scambio tra culture: «Si riceve una cultura e si offre un’altra cultura». Dialogo "inceppato" o a singhiozzo, nel mondo di una comunicazione così rapida da diventare «liquida» e inconsistente al pari dell’economia e della società, ha detto citando Bauman e facendo notare che si trova qui la radice un’alienazione giovanile che produce dipendenze e porta talvolta al suicidio per mancanza di prospettive, anche di lavoro.
L'università luogo del dialogo è dunque, nella visione di Francesco, anche l’ambiente in cui un sapere non ideologico entra in rapporto con questi problemi e sa offrire contributi di alto profilo alla loro soluzione. Ciò presuppone, però, ha fatto intendere il Papa, docenti preparati e attenti, ma soprattutto capaci di ascoltare gli studenti. E ragazzi desiderosi di costruire con i propri professori una profonda relazione intergenerazionale, ispirata non solo alla sterile contestazione. Così la prima visita di papa Bergoglio a un’Università 'laica' ha scritto ieri una pagina di autentica e lucida laicità, corroborata dagli accenti mai confessionali usati dal Pontefice per offrire tutta intera la visione antropologica propria dell’umanesimo cristiano. In tal modo egli ha messo a disposizione del mondo universitario nel suo complesso una mappa per comprendere più profondamente se stesso e le risposte che è chiamato a offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo.
Quanto siamo distanti dalla pagina nera di nove anni fa, quando un manipolo di 'docenti', creò condizioni e clima che impedirono a Benedetto XVI, in nome della 'scienza', di prendere la parola in un altro contesto universitario, tra l’altro avvalendosi di notizie non verificate e contraddicendo così il metodo scientifico al quale dichiaravano di ispirarsi. Meglio non parlare di nemesi (che tuttavia renderebbe 'giustizia' anche all’ingiusto affronto di allora), quanto piuttosto di pace ristabilita. Pace tra una fede da sempre amica di ragione e intelligenza e una cultura chiamata a ripartire proprio dall’universitas non parcellizzante del sapere (iscritta nel suo stesso nome). Pace e rinnovato dialogo da porre a servizio dell’uomo e in special modo dei più giovani. Coloro che all’Università così come alla Chiesa stanno a cuore.