La preghiera e l'azione
domenica 10 maggio 2020

Domenica scorsa 3 maggio, concludendo la preghiera del Regina Coeli, papa Francesco ha detto: «Ho accolto la proposta dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana affinché il prossimo 14 maggio i credenti di tutte le religioni si uniscano spiritualmente in una giornata di preghiera e digiuno e opere di carità, per implorare Dio di aiutare l’umanità a superare la pandemia di coronavirus». L’iniziativa è dei leader religiosi che si rifanno allo storico Documento firmato dal Papa e dal grande imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, nel febbraio 2019: «Non dimentichiamo di rivolgerci a Dio Creatore in questa grave crisi – si legge nell’appello del Comitato – ogni persona, in ogni parte del mondo, a seconda della sua religione, fede o dottrina, perché Egli [...] liberi il mondo dalle conseguenze sanitarie, economiche e umanitarie della diffusione di tale grave contagio». La preghiera di giovedì 14 maggio si configura come compartecipazione alle sofferenze e alle angosce causate dalla tempesta abbattutasi in questi mesi su tutto il pianeta, nonché come ideale continuazione del dialogo interreligioso avviato da Giovanni Paolo II nella giornata di Assisi e rafforzatosi via via negli anni, fino all’accelerazione impressa da Francesco con la firma di Abu Dhabi. Lo spirito di Assisi soffia ancora, e con più forza. Come ha rappresentato una risposta al dramma della guerra, può oggi farsi argine e fonte di nuova speranza di fronte alla pandemia, che imperversa in ogni continente, seminando morte, paura, difficoltà economiche. Il virus colpisce i legami sociali, indebolisce le istituzioni, precipita famiglie e popoli nell’abisso dell’incertezza per il futuro. Papa Francesco, che prega per la fine dell’epidemia da quando essa era ancora confinata nell’apparentemente lontana Cina, vuole rispondere alla malattia che impone il distanziamento sociale con un nuovo legame, tra popolo e popolo, tra i popoli e il loro Creatore. Al microrganismo invisibile che confina tutti in uno spazio chiuso e in un tempo sospeso, il Papa intende contrapporre un movimento unitivo tra le culture e le religioni, fatto non solo di meditazione, bensì pure di carità. Desidera aprire nuovi spazi, disegnare un’idea di futuro. Il mondo della globalizzazione, che ci sembrava vasto, è diventato piccolo. Il male lo percorre a grandi passi, ignaro delle frontiere, mietendo vittime senza fare distinzioni di fede. Per questo c’è bisogno di vicinanza e d’incontro. Già il 27 marzo scorso, in piazza San Pietro, Francesco aveva saputo indicare una prospettiva: «Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del Tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è».

E' da superare il tempo dei compartimenti stagni, dei muri, degli scontri di civiltà. Francesco si fa araldo dell’unità del genere umano. Di qui la preoccupazione perché la ricerca scientifica si muova avendo sempre presente il fatto che siamo tutti «sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati ». Sì, la barca è una: «È importante mettere insieme le capacità scientifiche, in modo trasparente e disinteressato, per trovare vaccini e trattamenti e garantire l’accesso universale alle tecnologie essenziali che permettano a ogni persona contagiata, in ogni parte del mondo, di ricevere le necessarie cure sanitarie».

Considerarsi tutti membri di una sola famiglia umana, imparare a curare il creato, non è un 'di più', cui si può rinunciare se il contesto è difficile. Si rivela sempre più una necessità, in questo tempo di globalizzazione e di allargamento di orizzonti. La Storia – che avevamo messo da parte per far trionfare le nostre piccole storie – chiama a un’unità che faccia perno su ciò che ci unisce e lasci da parte ciò che ci divide.

La preghiera comune di giovedì prossimo diviene per tutti un segno spirituale e universale: malgrado le differenze, non ci si salva da soli ma soltanto riconoscendoci vicini nella comune umanità e affrontando insieme la lotta per la vita di tutti. Con l’auspicio che le autorità civili del mondo adottino davvero, per la fine della pandemia, quella «collaborazione comune come condotta» a cui invita papa Francesco.

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