Il Papa durante i lavori del Sinodo in Vaticano - Ansa
L’idea di scrivere ai padri sinodali, come stiamo facendo in queste settimane, è il frutto di un lungo ascolto dei giovani: del loro senso di estraneità a una Chiesa respinta e desiderata, rifiutata e amata. Le lettere – la prima sulle promesse non mantenute e la seconda sulle impressioni davanti ai lavori attorno ai tavoli, più questa e quelle che appariranno su Avvenire sino alla conclusione del Sinodo – riprendono i desideri, le provocazioni, i sogni e le attese che hanno espresso nella recente ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, dalla quale è nata anche la serie di articoli su Avvenire poi raccolti nel libro “Dio, dove sei? Giovani in ricerca” (Vita & Pensiero). Consapevoli che nelle opinioni dei giovani si nascondono anche quelle di molti adulti, vengono offerte queste lettere alla Chiesa tutta ma in particolar modo ai padri sinodali perché li accompagnino nelle loro riflessioni e nelle loro decisioni. Ho semplicemente prestato la penna alle voci dei giovani. (P.B.)
Piangere con chi piange, compromettersi nelle “cose del mondo”, non parlarsi addosso, digiunare per la pace... Cari padri sinodali, i vostri lavori nei giorni scorsi hanno visto un’iniziativa che ci ha colpiti: avete dedicato una giornata a invocare la pace. In questo momento infuocato da guerre vecchie e nuove, tutte assurde nella loro disumanità, voi avete inserito nei lavori del vostro Sinodo una giornata dedicata alla pace: parola che risuona sempre meno in queste giornate drammatiche, in cui al massimo di parla di tregua, una pausa tra una fase della guerra e un’altra. Ma la pace è un’altra cosa, e voi avete avuto l’audacia di farla risuonare, accompagnata dalla preghiera e dal digiuno. Sappiamo che la preoccupazione per la pace fa parte della cultura dei cristiani e che la Chiesa, che propone di dedicare a essa il primo giorno di ogni anno, l’ha molto a cuore.
Ma il vostro grido, che avete voluto che diventasse anche quello di tutti i cristiani e degli uomini e donne di buona volontà, in un momento così rischioso della storia, ha avuto una forza particolare. Avete voluto invocare da Dio la pace, nella consapevolezza che da soli al massimo riusciamo a fare una tregua, ma non la pace che parte del cuore e cambia le relazioni tra le persone, tra le economie, tra i popoli. Avete anche voluto che fosse una giornata di digiuno. Immaginiamo che anche voi abbiate digiunato, volendo provare nella vostra carne ciò che provano migliaia di persone che hanno fame perché non hanno cibo, private di tutto dalla guerra. Abbiamo negli occhi le immagini delle donne che non hanno nulla da mangiare per i loro bambini, delle folle che vivono in mezzo alle macerie delle loro città, dei profughi che lasciamo le loro case che non sanno se saranno ancora in piedi quando un giorno, forse, ritorneranno: allora non è difficile digiunare, presi dalla pietà per fratelli e sorelle che non hanno nessun motivo per essere meno fortunati di chi ha casa, cibo, tranquillità; e dall’indignazione per chi sembra non dare valore alla vita.
Queste considerazioni per dirvi che questa Chiesa che si compromette piace anche a noi giovani. Ci piace una Chiesa che sa piangere con chi piange, che sa provare pietà. Ci avevano molto colpito le parole di Papa Francesco che nel suo primo viaggio, a Lampedusa, si chiedeva e ci chiedeva se sapevamo ancora piangere. Ci piace una Chiesa che non consacra il dolore come via di redenzione ma che condivide il dolore di chi soffre; che non insegna la strada dell’impassibilità ma della compassione; che non si limita a fare discorsi sulla pace – e già questa cultura non sarebbe poco! –, ma si compromette tutta perché la pace avvenga, a partire da ciascuno di noi. E infine diciamo che ci piace una Chiesa che si immerge nei problemi del mondo. La Chiesa in uscita di cui parla papa Francesco è anche questo: spalancare porte e finestre perché il mondo con le sue attese, le sue speranze, i suoi drammi entri nei luoghi ecclesiali in cui si discute, si dialoga, si prega, si pensa.
Noi sperimentiamo che nelle nostre comunità spesso si parla solo di cose di Chiesa, come se le cose del mondo non interessassero anche la Chiesa. E a forza di parlarsi addosso, nelle nostre comunità non circola più l’aria della vita, e stagna quell’odore di muffa che per noi è insopportabile. Vi ringraziamo per la testimonianza che ci avete dato in questi giorni, e vi chiediamo di dare a tutte le comunità cristiane, oltre all’esempio, l’invito ad abbattere muri e recinti, ad aprirsi con attenzione e cordialità alla realtà del mondo, a farsi carico della sua ricerca, dei suoi problemi, dei suoi drammi. In questa Chiesa sentiamo che anche noi potremmo stare.
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