
Pier Giorgio Frassati in montagna - Siciliani
In un tempo in cui le frontiere tornano a essere erette come muri e l’Europa sembra smarrire la sua vocazione di casa comune, la figura di Pier Giorgio Frassati (nato proprio oggi 124 anni fa) emerge con straordinaria attualità. La sua vita, radicata nello studio affrontato con senso di responsabilità, nella cura degli ultimi, nella passione per la montagna e nella dedizione profonda agli amici, ha saputo maturare e testimoniare una visione autenticamente internazionale. Sebbene essa sia uno degli aspetti meno conosciuti e studiati, può rivelarci oggi alcune coordinate di impegno per ritrovare nuove motivazioni verso il processo di integrazione europea, la pace e la fraternità.
In questo tempo attraversato dalla violenza della guerra, è ritornato centrale il dibattito sul progetto europeo, forse troppo affaticato e rallentato in un contesto di globalizzazione affidata troppo alla finanza e meno alla fratellanza. Un progetto ora minato dal crescente egoismo e isolazionismo statunitense, oltre che dall’aggressività delle dittature di fatto e della diffusione di idee illiberali nei Paesi democratici. È proprio la vita del “Santo dei giovani” che può indicare al Vecchio Continente la via. Frassati – che verrà canonizzato domenica 3 agosto durante il Giubileo dei giovani, a Roma – non fu un politico, ma visse la politica come servizio, incarnando un’idea che oggi suona quasi rivoluzionaria: l’azione sociale e la costruzione di un mondo giusto non sono prerogativa delle istituzioni, ma compito di ciascuno. Pier Giorgio ha maturato questo stile di impegno grazie al suo essere, oltre che il “Santo dei giovani”, il “Santo delle associazioni” (Azione cattolica, Fuci, San Vincenzo): in tale contesto relazionale, spirituale e culturale egli si è progressivamente connesso in profondità con le paure e le aspirazioni del suo tempo. Figlio di una famiglia dell’alta borghesia torinese, avrebbe potuto scegliere il privilegio e il distacco, invece l’esperienza comunitaria maturata nella partecipazione alla vita ecclesiale attraverso le realtà del laicato associato lo portarono a scegliere la vicinanza ai minatori, ai poveri, agli sfruttati. È per la sua vocazione a essere prossimo agli ultimi e agli sfruttati del suo tempo che studiò ingegneria mineraria: non per ambizione personale, ma per assumere le ansie e le ferite di quegli uomini spesso sfruttati e cercare di migliorare la sorte di chi lavorava nelle viscere della terra.
Questa attenzione agli “scartati” della storia lo rese cittadino del mondo. Viaggiò per un’Europa che non esiste più, lamentandosi delle sue frontiere (si veda la lettera a Maria Fisher del 24 novembre 1921); studiò all’estero, in Germania, dove intrecciò relazioni con giovani di diverse nazionalità vivendo un’esperienza che da giovani europei, oggi, definiremmo Erasmus; si impegnò per la pace, in un’epoca segnata dalle tensioni tra le due guerre mondiali, rendendo sempre operosa la sua preghiera e mostrando l’importanza della vicinanza e della cura che dovrebbe essere propria di ogni credente. La sua convinta attività in “Pax Romana”, organizzazione che riuniva studenti cattolici di diversi Paesi per costruire un futuro di riconciliazione, ci mostra come Pier Giorgio aveva compreso che la pace non è solo un trattato tra governi, ma un’architettura che si edifica giorno per giorno, nell’amicizia tra i popoli e nella giustizia sociale.
La stessa passione di Pier Giorgio per la montagna – che meglio si gustava in condivisione con gli amici – va oltre l’amore per l’escursionismo, è un modo per allenarsi a vivere la solidarietà: in montagna, come nella vita, nessuno arriva fino in cima da solo, ha bisogno di salire in cordata. È lo spirito di collaborazione e sostegno reciproco, cuore del suo impegno sociale e religioso, che mostra l’importanza del maturare la distinzione tra la generosità e la generatività, tanto nei rapporti individuali quanto nella cooperazione tra nazioni: per la costruzione di un mondo giusto e equo non basterà il generoso impegno, occorrerà saper coinvolgere gli altri (siano i nostri vicini o altri Paesi) in un percorso di crescita e responsabilità per la costruzione di una città fraterna, giusta, solidale.
Una lezione che gli Stati, che dovrebbero comporre l’Europa, sembrano aver dimenticato: troppo spesso la politica si riduce a difendere confini, a costruire barriere, a pensare l’identità come esclusione. Frassati ci insegna un’altra via: la politica della fraternità, che non teme l’incontro, che rifiuta le frontiere come ostacoli alla libertà, mettendo al centro chi resta indietro. In un’epoca di crisi migratorie, diseguaglianze e nuovi nazionalismi, la sua testimonianza è un monito e un appello.
Pier Giorgio che non era solo un uomo di idee, ma un uomo di gesti concreti, esercitati spesso nel nascondimento, ventenne scriveva ai minatori, esortandoli a non sentirsi soli, difendeva con forza la dignità dei popoli oppressi, prendendo posizione anche contro le ingiustizie delle potenze europee, come quando condannò l’occupazione francese della Ruhr. Il suo impegno, fatto di piccoli gesti, di un quotidiano “artigianato di pace”, come lo definirebbe oggi papa Francesco, superava i confini geografici e sociali. E se l’Europa vuole ritrovare la sua anima, deve tornare a essere il sogno di Ventotene, il sogno di Schuman, De Gasperi e Adenauer: un progetto che nasce dal bisogno di superare le divisioni e costruire insieme contro ogni egoistico nazionalismo. Pier Giorgio Frassati, con il suo slancio verso gli ultimi e la sua fede nella possibilità di un mondo più giusto, avrebbe benedetto questa strada e ci avrebbe incoraggiato a rendere questo sogno realtà. La sua visione della politica non era fatta di giochi di potere, ma di servizio, di prossimità, di lotta per i diritti degli ultimi. La sua vita, vissuta con intensità fino all’ultimo respiro, è un richiamo potente a un’Europa che non si chiuda nelle sue paure, ma che torni a sognare insieme, con coraggio e Speranza.