mercoledì 2 aprile 2025
La "consapevolezza" che serve parte dal riconoscimento della dignità di ogni persona, unica e non graduata, in vista di costruire progetti di vita indipendente. L'esperienza del Serafico di Assisi
Un ragazzo ospite del Serafico durante il servizio a tavola al G7 della Disabilità dell'autunno 2024 a Solfagnano

Un ragazzo ospite del Serafico durante il servizio a tavola al G7 della Disabilità dell'autunno 2024 a Solfagnano

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Quest’anno siamo arrivati alla giornata internazionale per la Consapevolezza sull’Autismo (2 aprile) con una grande speranza che deriva dal “Progetto di vita indipendente”, diventato finalmente legge. La riforma attuata con il D.lgs n. 62 del 2024, infatti, non solo innova profondamente il sistema degli accertamenti, dei sostegni e delle tutele dedicate alle persone con disabilità, ma è diventata il fulcro di un valore fondamentale su cui si snodano tutti gli interventi previsti: la dignità della persona.

Ed è proprio questo riconoscimento della dignità di ogni persona, unica e non graduata, a essere l’architrave su cui poter finalmente costruire il Progetto. Non più inteso come una possibilità, ma come un diritto della persona. In questa direzione il Progetto non sarà e non potrà essere semplicemente un elenco di misure o di sostegni, ma è lo spazio in cui far emergere desideri, attese, talenti e sogni di una persona libera di vivere una vita piena.

Francesca Di Maolo, peresidente dell'Istituto Serafico di Assisi

Francesca Di Maolo, peresidente dell'Istituto Serafico di Assisi - www.facebook.com/ilSerafico/

Quando si parla di disturbi dello spettro autistico troppo spesso la società alza muri. Muri fatti di diagnosi, di protezione a oltranza, di percorsi chiusi che di fatto portano alla segregazione. Di fronte alla persona neurodiversa, e come spesso avviene di fronte a qualsiasi diversità, scatta il nostro dominio della paura e dei pregiudizi prima ancora della conoscenza. Il “Progetto di vita” ci impone dunque, come primo atto, l’ascolto dell’altro e il suo coinvolgimento. Questo perché, in assenza di un linguaggio verbale, è necessario trovare un codice di comunicazione, perché comunicare è uno dei bisogni primari di ogni essere umano e attraverso quel canale potranno affiorare preferenze, bisogni, emozioni.

Luigi, uno dei nostri educatori professionali, pochi giorni fa raccontava di aver notato che Anna, una delle nostre ragazze, in alcuni momenti era triste; ma solo quando insieme hanno costruito un linguaggio non verbale, ha capito che la tristezza di Anna si verificava quando aveva nostalgia della mamma. E così Luigi, quando Anna è triste, può consolarla e metterla in contatto con la sua mamma, alleviandone la tristezza. Al Serafico, dunque, da tanto tempo cerchiamo di lavorare non soltanto sui limiti, ma soprattutto sui talenti e sulle risorse delle persone di cui ci pendiamo cura. E in questi primi mesi di sperimentazione del “Progetto di vita”, e in una fase di formazione intensiva per tutti, stiamo assistendo a una vera rivoluzione del modello educativo-riabilitativo. La parola d’ordine è diventata “autodeterminazione”.

Per ognuno dei nostri ragazzi ci si chiede cosa desidera, cosa gli piace, che cosa è significativo per lui. Siamo chiamati a capire le abilità di ciascuno, ma anche come aiutarli a rinforzare o ad apprendere quelle capacità che sono necessarie per realizzare gli obiettivi che ognuno ha scelto come prioritari. Nelle relazioni di cura, infatti, troppo spesso si pensa di dover decidere di cosa la persona abbia bisogno a prescindere dalle sue preferenze. Il rischio che si annida nelle attività di cura è il “potere del servizio”, il potere di decidere della vita dell’altro. E questo potere annulla l’autodeterminazione, la libertà e la dignità della persona. Nella nostra esperienza ci rendiamo sempre più conto che molti dei comportamenti- problema che tanto spaventano i genitori e gli operatori, nascono a volte dalla nostra difficoltà nel comprendere i bisogni dell’altro, o affondano l’origine in una comunicazione insensata. Di fronte ai comportamenti problema si è portati a togliere stimoli e opportunità di scelta, per la paura che qualcosa vada storto.

Ma la libertà di una persona è nella libertà di scegliere. Ed è per questo che il “Progetto di vita” ci porta nella direzione opposta a quella più facile da seguire: aggiungere possibilità e costruire ambienti sicuri, ma in cui poter sperimentare, sbagliare, riprovare. La strada, dunque, è tracciata e tutti noi, operatori e caregivers, dobbiamo uscire per primi dalla logica del limite per entrare in quella delle possibilità. Perché ogni vita è degna, e ogni persona – anche quella più fragile – è portatrice di un progetto di vita e di realizzazione. Quando uno dei nostri ragazzi riesce a reggere uno sguardo, a stare in una relazione, ad accettare un cambiamento, a scegliere un’attività tra diverse proposte, di fatto sta dicendo: “Io ci sono. Anch’io ho una mia strada”. E noi quella strada dobbiamo percorrerla senza timore e standogli accanto. Questo modo di relazionarci con le persone ce lo ha insegnato Papa Francesco, proprio al Serafico, il 4 ottobre del 2013.

Dopo aver abbracciato a uno a uno i bambini e i ragazzi, ci disse: «Qui siamo tra le piaghe di Gesù: queste piaghe devono essere ascoltate». Il suo invito ci ha interrogato e ci interroga tutt’ora. Tanti sono i verbi che potrebbero sintetizzare l’accompagnamento alla persona fragile in termini di azione, ma Papa Francesco ci chiedeva come prima cosa di avvicinarci ascoltando. Un concetto che sembra quasi ribaltare l’atteggiamento dell’accompagnamento alle persone di cui ci prendiamo cura, ma che, invece, ci esprime l’autentico atteggiamento necessario in una relazione di prossimità.
*Presidente Istituto Serafico di Assisi

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