.jpg?width=1024)
Manifestazioni in Israele per la liberazione della famiglia Bibas - ANSA
Israele non aveva mai voluto credere alla loro uccisione, annunciata nel novembre 2023 da Hamas e avvenuta con tutta probabilità nei bombardamenti delle prime settimane di guerra. Aveva festeggiato inesistenti compleanni, con palloncini gialli. Ora la cruda verità della morte di Kfir, a 9 mesi, del fratellino Ariel, a 4 anni, e della madre Shiri, a 32, costringe anche gli increduli a guardare in faccia la disumanità della guerra. I loro corpi saranno restituiti giovedì, assieme a quello di un quarto ostaggio. Sarà l’unica risposta, muta, all’appello rivolto dal padre, Yarden Bibas, al governo di Benjamin Netanyahu il 2 febbraio, all’indomani del suo rilascio a Gaza. Separato dalla moglie e dai figli nel massacro del kibbutz di Nir Oz, il 7 ottobre 2023, aveva subito la tortura psicologica di essere filmato mentre un altro ostaggio era costretto a informarlo della morte dei suoi cari. A fare i nomi della famiglia Bibas è stato il caponegoziatore di Hamas, Khalil al-Hayya, in un discorso registrato. L’ufficio di Netanyahu ha chiesto prudenza «per proteggere la privacy delle famiglie» finché non verranno eseguite le analisi del Dna.
Quanto ai vivi, sei ostaggi torneranno a casa sabato. E saranno gli ultimi della prima fase. Si tratta di Eliya Cohen (27 anni), Omer Shem Tov (22) e Omer Wenkrat (23) rapiti al Festival Nova e di Tal Shoham (40), Hisham al-Sayed (36), beduino con problemi mentali entrato per errore a Gaza nel 2015 e rapito, e Avera Mengistu (39), nato in Etiopia ed entrato a Gaza nel 2014. Entro il 1° marzo, resteranno da trasferire quattro cadaveri. La decisione di accelerare i tempi (l’accordo prevedeva tre ostaggi questo sabato e tre il successivo) è stata presa da Hamas in cambio dell’ingresso a Gaza di macchinari pesanti, case mobili e materiali edili. Nella Striscia rimarranno 59 ostaggi, dei quali 26 dichiarati morti e una decina sicuramente in vita, stando alle prove giunte alle famiglie nelle ultime settimane anche attraverso gli ex rapiti. Oggetto di scambio, per il rilascio anticipato, è stato anche l’impegno di Israele ad avviare i colloqui per i dettagli della seconda fase, che sarebbero dovuti partire il 3 febbraio. Il ministro degli Esteri Gideon Saar ha confermato che Tel Aviv siederà al tavolo delle trattative settimana, aggiungendo la richiesta di «una completa smilitarizzazione di Gaza» e di «nessuna presenza dell’Autorità nazionale palestinese» nel dopoguerra. Il ministro si è detto a conoscenza dell’esistenza di un piano della Lega Araba alternativo a quello della “Riviera Gaza” del presidente americano Donald Trump che tanto piace al governo e alla maggior parte dell’opinione pubblica israeliana. Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha annunciato che la prossima settimana sarà a Washington per proporre un piano «supplementare»: «Il ruolo della leadership israeliana – ha detto – è di presentare progetti e non solo aspettare gli americani».
Il piano dei Paesi Arabi, da 20 miliardi di dollari per ricostruire Gaza in tre anni, sarà discusso venerdì a Riad dai leader di Egitto, Giordania, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. A differenza di quanto proposto da Trump, ai palestinesi verrebbe lasciata la libera scelta di partire o restare anche durante la ricostruzione. Il vertice straordinario della Lega Araba su Gaza, al Cairo, è stato rinviato al 4 marzo.
Sul terreno la tregua regge, a un mese esatto dall’entrata in vigore e per quanto al-Jazeera riferisca di 266 violazioni da parte israeliana che avrebbero ucciso 132 palestinesi ferendone più di 900.
Scaduta oggi la proroga al ritiro delle truppe israeliane dal sud del Libano, è confermato che rimarranno in «cinque punti strategici» per monitorare il confine. Protesta Beirut, che parla di «occupazione» e invoca l’intervento del Consiglio di sicurezza dell’Onu. In una nota congiunta, l’inviato Onu e le forze di pace Unifil confermano che si tratta di una violazione dell’accordo scaturito dalla risoluzione 1701 dell’Onu.