«Signor presidente, le nostre terre non sono zoo, come lei ha detto, sono la nostra casa. Occupano il 14 per cento del Brasile e a lei sembra tanto. Come giudica il fatto che i latifondisti possiedano oltre il 60 per cento del territorio?». A rivolgere lo scomodo interrogativo al nuovo presidente, Jair Bolsonaro, sono le comunità amazzoniche Aruak Baniwa e Apuriña in una lettera aperta diffusa ieri.
I 305 popoli indigeni brasiliani sono in allarme per il debutto del governo che a Capodanno si è insediato al Palazzo di Planalto. Terminata la cerimonia del giuramento, come primo atto, Bolsonaro ha trasferito la competenza sul processo di restituzione delle terre ai nativi dalla Fondazionale nazionale dell’indio (Funai) al ministero dell’Agricoltura. Non si tratta di una mera questione amministrativa. Il “passaggio di consegne” è uno dei cavalli di battaglia dei proprietari terrieri, a cui fanno riferimento circa un terzo dei parlamentari nazionali, riuniti nella cosiddetta “Bancada ruralista”.
Una lobby potente e combattiva, che ha tra i suoi principali obiettivi l’espansione della frontiera agricola a spese della foresta e dei suoi abitanti. A guidare il gruppo era, fino a poco fa, Tereza Cristina Corrêa da Costa Dias, ora neoministro dell’Agricoltura. A lei, dunque, toccherà decidere ora quali e quante territori saranno assegnati agli indios in usufrutto permanente. E dei quali sono questi ultimi hanno facoltà di utilizzare le risorse. Questo sistema – delineato dalla Costituzione, trentuno anni fa, al termine della dittatura militare – cerca di risarcire i nativi per gli abusi subiti. In particolare, durante la politica di “integrazione forzata” del regime che aveva causato lo sterminio dei nativi, ridotti a meno di 100mila.
Certo, nel frattempo, i differenti governi democratici – di destra come di sinistra – se la sono presa comoda: degli oltre 1.200 appezzamenti rivendicati, ne è stato restituito a malapena un terzo. Altri 128 terreni sono in via di assegnazione. Su questi a breve dovrà pronunciarsi il ministero dell’Agricoltura. Non solo. All’organismo – e non più la Funai, creata per tutelare gli interessi indigeni e ormai svuotata delle principali funzioni – il governo ha affidato il compito di verificare l’impatto ambientali di progetti economici nei pressi delle aree native. Il ministero dell’Agricoltura ha precisato che si «tratta solo di una questione di organizzazione».
Meno tranquillizzante, però, il messaggio su Twitter del presidente. «Insieme, integreremo questi cittadini», ha scritto, dopo aver sottolineato: «Meno di un milione di persone abitano nelle regioni isolate del Brasile e sono sfruttati e manipolati dalle Ong». In linea con tale affermazione, 24 ore dopo lo “esautoramento” della Funai, Bolsonaro ha firmato una misura provvisorio che aumenta i controlli su questi ultime. Alla segreteria di governo, guidata dall’ex generale Carlos Alberto dos Santos Cruz, è stato dato il compito di «supervisionare, coordinare, monitorare e accompagnare le organizzazioni internazionali e non governative».
Prima, l’organismo si limitava a «favorire le loro relazioni con la società civile». Già in campagna elettorale, il futuro leader si era scagliato contro le Ong ambientaliste e una politica di «zoo per gli indigeni». Comprensibile, dunque, la preoccupazione degli indios e di quanti difendono i loro diritti. «Il governo ha decretato, come suo primo atto, l’annichilimento dei diritti assicurati negli articoli 231 e 232 della Costituzione federale, la magna Carta del Paese. Bolsonaro ha attaccato in modo grave i popoli indigeni, i loro diritti fondamentali alla terra, alla differenza, e le loro prospettive di futuro», ha dichiarato in un comunicato il Consiglio indigenista missionario (Cimi) della Conferenza episcopale brasiliana. Il clima di tensione ha surriscaldato ulteriormente il già incandescente Brasile rurale.
Tre giorni fa, un gruppo di cacciatori di risorse ha invaso la comunità di Arara, nel Pará, casa dei popoli Arara e Xipaia. I nuovi arrivati hanno conquistato un’ampia area che si stanno spartendo, dopo aver disboscato. I nativi, a loro volta, si stanno organizzando per cacciarli. «Per ora sono riuscito a calmarli – ha detto il leader Léo Xipaia –. Ma devono intervenire le autorità. Perché, a partire dal presidente, devono smettere di minacciarci e difenderci. Siamo anche noi brasiliani».