
Soccorritori al lavoro fra le macerie dopo un attacco con i droni in Ucraina - Ansa
Piove a dirotto sul campo di battaglia. Dopo mesi di neve, il fango è quasi un alleato: «Loro non possono avanzare e noi teniamo le posizioni» dice il soldato che con la pioggia non scruta il cielo ma drizza le orecchie: «Con questo tempo i droni piccoli non volano, ma i cannoni sparano». Vista dalla linea del fuoco, tra villaggi diventati rovine e cimiteri che conquistano più terreno di quanto non facciano gli eserciti, la guerra non sembra affare tra diplomazie.
Il presidente Volodymyr Zelensky, il 26 marzo, aveva avvertito, in un’intervista a Le Figaro che la Russia si starebbe preparando per una nuova offensiva negli oblast di Sumy e Kharkiv entro la primavera. L’osservazione dal campo lo conferma. «I russi hanno cambiato tattica», spiega Sergij, un soldato di mezza età, quasi annoiato dalla giornata con poche scaramucce. Con altri commilitoni è in “pausa hot-dog” sulla linea del fronte a ridosso di Pokrovsk, la nuova Bakhmut. «Li vediamo dai droni e dai visori: compiono assalti in due, anche solo tre russi per volta, così da tenerci impegnati e minimizzare le loro perdite». Una pressione costante che serve a costringere gli ucraini a non spostare uomini sul fianco Nord, dove Mosca ha conquistato un altro villaggio proprio nel distretto di Sumy. Il negoziato visto da qui pare un miraggio nella nebbia. Gli interessi economici sembrano prevalere sui destini della carne da cannone. Una delegazione ucraina si recherà a Washington questa settimana per una nuova bozza dell’accordo sulle risorse minerarie tra Ucraina e Stati Uniti. Yuliia Svyrydenko, ministro dell’Economia ucraino, ha dichiarato che «l’obiettivo della visita sarà quello di avviare i negoziati su una nuova bozza».
Nessuno sa dire che risposte arriveranno, mentre anche a Nikopol, di fronte alla centrale nucleare di Enerdohar occupata dai russi, il tempo si misura in colpi di artiglieria e droni. Impossibile viverci dentro senza pensare che ogni passo potrebbe essere l’ultimo. «Finché i russi non se ne andranno questo continuerà a succedere», ripete la gente del posto.
A Leopoli e nelle città lontane dal fronte, i residenti non di rado si dicono disposti a lasciare pezzi di Paese pur di fermare la mattanza. È il paradosso della guerra in Ucraina: più si sta vicini al fronte, più la popolazione supplica di non cedere e combattere per tenere i russi alla larga. Più ci si allontana dal fronte, dove la vita riprende una scomoda normalità, e più si desidera che la guerra finisca e che un accordo si trovi, anche a costo di ampie cessioni. Il nuovo viaggio di Avvenire dentro agli oltre mille chilometri di faglia tra i due eserciti permette di annotare sentimenti contrastanti. E la recente strage di bambini, che la propaganda russa ha tentato di minimizzare utilizzando anche immagini false, non ha raggiunto l’effetto sperato. Nonostante il conflitto stia polarizzando la società ucraina – il sostegno a Zelensky non è più quello di tre anni fa –, nelle ultime settimane, per effetto delle parole di Trump prima, e le armi di Putin poi, il fronte di chi pur di fermare i lutti di civili si dice disposto ad assecondare Putin rimane ancora minoritario.
Nella notte tra sabato e domenica, meno di ventiquattr’ore dopo la strage di bambini a Kryvyi Rih, lo stato maggiore russo ha lanciato 23 missili e 109 droni. Non è più una novità. Il numero di attacchi con i soli droni è aumentato di oltre il 50 per cento dall’inizio dei colloqui di cessate per un fuoco guidati dagli Stati Uniti, avviati a metà febbraio. Secondo dati del Comando dell’aeronautica militare ucraina nei primi 30 giorni di dibattito impropriamente chiamati “negoziato”, la Russia ha effettuato 4.776 lanci di droni. Il mese prima erano stati 3.148. Prima dei colloqui indiretti mediati dagli Usa a Riad, indistintamente su obiettivi civili e militari l’Ucraina piombavano mediamente 101 droni al giorno. Dai giorni successivi la media è salita a 154, il 52,5 per cento in più. Kiev non è rimasta a guardare e a sua volta ha intensificato la campagna di droni contro obiettivi russi, lanciando una media di 35 droni al giorno (prima la media era di 30), meno del 17% in più. Per i civili vuol dire che l’intensità del conflitto raramente è stata così alta.
Quella di una guerra “da remoto”, con droni contro droni, è una illusione. A decidere è sempre il campo di battaglia. A Kherson, l’ultimo miglio di frontiera armata che si chiude con l’accesso alla Crimea annessa nel 2014, arriva la conferma di nuovi rinforzi russi al ritmo di 300 soldati al giorno, più delle perdite subite. Niente che faccia pensare a un’imminente svolta diplomatica.