domenica 10 novembre 2024
Investe psicologia, biologia, ruolo sociale, spiritualità, mondo simbolico. Ecco cos’è la sessualità, «una potenza paradossale» che occorre ripensare e purificare per una vita buona a due
Sesso, l'etica della relazione è più importante di norme e divieti

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La riflessione sulla sessualità accompagna, da sempre, la storia dell’umanità. Nel corso dei secoli, nelle differenti geografie, con parole, norme, simboli, riti, attenzioni e tensioni è stata significata in vario modo. Da un ascetismo assoluto a un godimento dissoluto, molte interpretazioni si trovano nel mezzo. Anche la Chiesa (nell’interpretazione biblica, nella riflessione teologica, negli interventi magisteriali, nei vissuti, …) presenta un suo percorso di riflessione e (dis)valorizzazione, non sempre sereno e coerente. Innanzi tutto, vorrei precisare un orizzonte interpretativo: con “sessualità” non intendo solo gli aspetti erotico-genitali (seppur presenti), ma la persona nella sua totalità. «Non ogni mia relazione è sessuale ma ogni relazione è sessuata », non è solo uno slogan che recito in aula per attirare l’attenzione degli studenti: è proprio la condizione di ciascuno di noi, che tiene conto di aspetti paradossali. Perché la sessualità è davvero dinamica paradossale, ovvero sa tenere uniti aspetti apparentemente inconciliabili. Essa investe la biologia, ma anche la psicologia, il ruolo sociale, la spiritualità, il tempo, l’intimità, il mondo simbolico… la comprensione di sé, di ciascuno di noi. In una storia e una geografia precisi.

Forza paradossale, dunque: è dinamica personale e sociale nel contempo; investe il corpo e lo spirito, il materiale e l’immateriale; è potenza d’amore, ma può diventare macigno di manipolazione, violenza, superficialità; è simbolica e concreta nel contempo. E la riflessione sulla sessualità, come qualsiasi altro ambito, non può esimersi dall’affascinante e oneroso compito di riflettere sul rapporto natura-cultura. Cantiere aperto / cantieri aperti, quindi, proprio nella comprensione del paradosso. Non sto rigettando a priori le norme (= indicazione precisa di comportamento) che ci accompagnano da anni. Piuttosto: andiamo a cercare i criteri (= logiche che indirizzano il nostro agire) che hanno portato a formulare alcune indicazioni, per riproporle nel loro pieno senso. Nella Bibbia troviamo svariate norme relative al comportamento erotico-genitale. Di contro non troviamo una elaborazione sistematica o teoretica della sessualità.

Ma, se leggiamo il testo biblico con respiro e gli strumenti che abbiamo a disposizione (soprattutto dopo il XX secolo), dobbiamo comprendere i criteri che ne sono alla base: la sessualità è (ri)letta come qualcosa di appartenente alla Creazione (compresa in chiave di Alleanza) e quindi qualcosa di buono, in qualche modo “necessario” – meglio: affidato alla responsabilità umana – per continuare l’opera creatrice di Dio. E avviene pienamente solo nel riconoscimento di un’alterità. “Peccato” (sessuale) è quindi tutto ciò che crea disordine nella Creazione e non celebra l’Alleanza, ovvero si esplicita come un non proseguire l’opera creatrice, un non riconoscere (ma assoggettare, “cosificare”) la diversità, l’alterità. Nella Bibbia ogni comportamento sessuale normato lo è non su una base strettamente morale, quanto teologica. E forse è proprio questo il nostro cantiere più aperto, oggi: ovvero riconoscere, chiarire, introiettare criteri. È infinitamente più facile ragionare e agire “per norme” (spesso eteronome) che per criteri. Ma “facile” non significa completo, sufficiente, umano. Soprattutto dal punto di vista della coscienza. Siamo davvero ancora troppo abituati a ragionare per singoli atti e non nell’orizzonte della chiamatarisposta (cfr. OT16). Partiamo dal fatto che la sessualità, in quanto potenza paradossale che investe interamente la persona, non può essere considerata settorialmente o unilateralmente. Ogni riflessione che sbilanci o schiacci troppo la prospettiva su un unico aspetto compromette una comprensione della stessa. Quindi la prima indicazione davvero è quella di considerare i singoli aspetti della sessualità per ricomporli e amalgamarli in un orizzonte di senso.

Un primo cantiere è quindi quello del metodo che usiamo per affrontare la riflessione di queste questioni: è parcellizzante o poliedrico? Siamo ancora troppo preoccupati dei singoli atti o siamo attenti al senso e alla vocazione, al cammino e agli orizzonti? Sappiamo riconoscere i vari piani in gioco e sappiamo ricomporli, in una visione il più attenta possibile della persona?

Un secondo cantiere di riflessione investe la comprensione che abbiamo del corpo e della corporeità, ambito che diamo troppo spesso per scontato ma che rivela non poche fallacie quando pensiamo alla persona. Spesso ancora ragioniamo per dualismo, come se “avessimo un corpo” e non “fossimo (anche) corpo”. Sicuramente è necessaria una riflessione sul corpo ma urge un ripensare anche dal corpo: “corpo” non è spazio neutro ma luogo di identità, comprensione, esperienza, comunicazione. Svalorizzare il corpo è svalorizzare la persona. Tout court.

Un terzo cantiere ci chiede di inserire la questione “tempo”: la sessualità ci accompagna nelle stagioni della vita e non ogni risposta è valida in qualsiasi momento. Vale al maschile, certo, ma vale ancora di più al femminile. E il tempo non è solo chronos. Lo è, indubbiamente, ma chronos deve lasciare spazio a kairos. Ecco allora che la questione tempo ci accompagna a ripensare anche la questione della fertilità e della fecondità.

Un quarto cantiere ci chiede di affrontare serenamente la questione dell’alterità e del rapporto uomo-donna. Nel corso della storia (anche teologica) si sono dati modelli differenti; sinteticamente possiamo raggrupparli in tre filoni: sottomissione, complementarità, reciprocità. Sono prospettive radicalmente differenti, che generano comprensioni radicalmente differenti (talora inconciliabili) circa la sessualità.

Un quinto cantiere esige che si prenda seriamente in considerazione la questione del “potere” connesso alla sessualità. Sono in gioco questioni gravissime (quali, ad esempio, gli abusi) ma anche questioni più sottili del nostro quotidiano.

Un sesto cantiere è il cantiere del linguaggio. Il linguaggio coinvolge profondamente la sessualità, sia in modo diretto, sia in modo in allusivo: può essere violento e distruttivo, così come può essere luogo di cura e accoglienza. Di certo questo discorso vale sia al maschile che al femminile: nessuno è esente dal compito e nessuno è al sicuro da un linguaggio aggressivo. Il modo in cui usiamo il linguaggio è parte integrante del modo in cui interpretiamo il maschile e il femminile, la sessualità, e costruiamo e abitiamo concretamente uno dei tre modelli di relazione visti in precedenza.

Un settimo cantiere è quello della vocazione: in un momento come questo, dove si assiste a un calo di vocazioni religiose o di matrimoni in chiesa, non possiamo considerare i dati come estranei. Sessualità e vocazione, da sempre, sono stati riletti, interpretati e normati in modo stretto. Davvero possiamo considerarli, oggi, estranei? Un ottavo cantiere è quello della educazione, che mi pare debba essere “prossima” e “remota”. Con “educazione remota” intendo tutta una serie di atteggiamenti che vanno educati da sempre e per sempre: il rispetto e la valorizzazione del corpo, l’apertura all’altro e al trascendente, una esperienza di sé nel costitutivo rapporto con l’altra/o, di identità nella differenza, compresa quella sessuale. Tutti atteggiamenti e virtù che non si improvvisano, ma si costruiscono nel tempo. Con “educazione prossima” intendo, invece, una serie di contenuti specifici (“tecnici”, biologici, psichici, morali, affettivi, spirituali…) legati a una specifica situazione/ tappa di vita. Non è pensabile una corretta “educazione prossima” senza una continua “educazione remota”: sarebbe una comunicazione di contenuti, tendente al “materialismo” Non è pensabile una “educazione remota” senza una concretizzazione di “educazione prossima”: sarebbe un tendenziale “spiritualismo”. Solo il connubio di questi due stili di “educazione” ci permette di sentirci inclusi in un progetto e non parcellizzati.

L’obiettivo di questa sfaccettata educazione è quindi duplice: la formazione di una identità sessuale (a tutto-tondo) e il suo consolidamento. Cantieri aperti, quindi: non solo quelli che ho elencato. Molti e molti altri. Per umanizzare e umanizzarci. Il libro del professor Martin Lintner – nella sua profonda e attenta analisi della Bibbia, della storia, delle questioni attuali – con l’infinito garbo umano che lo contraddistingue, ci aiuta, in questo senso, a radicare i nostri cantieri: aprendoli e rendendoli comuni. Non è più riflessione di nicchia: ci interpella. Ogni giorno. Nelle vite concrete. Tutti.

Docente di teologia morale


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PER RINNOVARE L'INSEGNAMENTO DELLA CHIESA NELLA MORALE SESSUALE E CONIUGALE

È possibile pensare a un rinnovamento dell’insegnamento della Chiesa su sessualità, rapporto di coppia e famiglia nel flusso della tradizione e nel ritorno consapevole ai messaggi fondamentali della Scrittura? Martin Lintner, padre servita, già presidente dell’Associazione europea di teologia cattolica (2013-2015) e dell’Associazione internazionale di teologia morale (2017-2019), propone il passaggio da una morale fondata su divieti e comandamenti a un’etica della relazione, senza che «fondamento normativo e etica delle virtù» debbano entrare in contrapposizione. Una tesi sviluppata nel nuovo manuale di Teologia morale sessuale e familiare. Una prospettiva di etica relazionale (Queriniana, pagg.799, euro 79).

Un testo impegnativo che parte dagli sviluppi storici dell’insegnamento della Chiesa su matrimonio, sessualità e amore - dal giudaismo ellenistico a papa Francesco - per passare poi ai fondamenti biblici e a una terza parte in cui il teologo illustra gli aspetti sistematici «di una rinnovata etica della sessualità e della relazione», che sono poi le pagine più originali e propositive, in cui si invoca «il passaggio da una morale sessuale basata sulle norme a una morale sessuale intesa come etica della relazione fondata sulle virtù». Si arriva così a una proposta sistematica di un’etica della relazione orientata alle virtù, in cui sessualità, rapporti di coppia e matrimonio sono considerati sotto l’aspetto della vulnerabilità e di un’etica relazionale della responsabilità.

Lintner non ha dubbi sul fatto che la proposta possa collegarsi «alla tradizionale secolare dello sviluppo dottrinale della Chiesa». In questa prospettiva sottopone a riflessione critica le condizioni per considerare indissolubile il matrimonio. E, infine, si dice favorevole a slegare l’unione canonica tra il patto matrimoniale dei battezzati e il sacramento, secondo la logica istituzionale affermata dal concilio di Trento con il decreto Tametsi (1563). Un tema che è anche al centro di un progetto di ricerca portato avanti dal Pontificio Istituto Teologico “Giovanni Paolo II” in collaborazione con la Pontificia Università Lateranense che ha come obiettivo quello di “congedarsi” da alcuni accenti del magistero tridentino, in particolare la predominanza del registro etico (sposarsi pubblicamente per evitare l’adulterio) e giuridico (la coincidenza tra sacramento e contratto).

Ma quali sono le competenze morali necessarie per consentire una pratica responsabile della sessualità e promuoverne l’integrazione in un progetto di vita? Il teologo richiama competenze identitarie, comunicative, specifiche, sociali, interculturali e religiose, mediatiche. C’è poi la virtù della castità, spesso confusa con la continenza sessuale, mentre va intesa come «l’integrazione e la pratica di un esercizio responsabile della sessualità nel contesto della propria forma di vita personale». E quindi con l’obiettivo di realizzare relazioni autentiche, armoniche e appropriate. Padre Lintner, tra i tanti argomenti affrontati, parla anche delle unioni tra persone dello stesso sesso, gender, poligamia e poliamore. Di grande originalità infine il contributo al femminile di Gaia De Vecchi nella prospettiva di teologia morale di genere. (L.Mo.)


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