domenica 30 marzo 2025
Padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio Famiglia Cei con Barbara a Stefano Rossi, collaboratori nazionali, spiegano come progettare un itinerario spirituale per le famiglie disgregate
Quali percorsi per le coppie ferite

Foto Siciliani

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L’amore celebrato con il sacramento delle nozze non sempre ha un lieto fine. Le statistiche esplicitano un’importante fatica relazionale e di coppia che sfocia molto spesso in difficili separazioni. Serviva quindi un testo per proporre alcune coordinate per l’accompagnamento pastorale delle famiglie che vengono investite dalla rottura della coppia e mettere nero su bianco quanto verificato come efficace nell’azione pastorale sperimentata nel corso degli anni dall’équipe formata da padre Marco Vianelli con Barbara e Stefano Rossi. Gli autori cioè di un nuovo manuale sull’accompagnamento delle coppie separate o in nuova unione, L’amore ferito. Coordinate per superare le tempeste di coppia (Edizioni Francescane Italiane), da cui abbiamo tratto lo stralcio pubblicato qui sotto. Padre Marco Vianelli, frate minore della provincia Serafica (Umbria-Sardegna), è attualmente direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia. Ha una formazione giuridica. I coniugi Barbara e Stefano Rossi fanno parte della comunità del Centro familiare Casa della Tenerezza di Perugia e attualmente sono la coppia di collaboratori di padre Vianelli nell’ambito dell’Ufficio nazionale per la famiglia. Padre Marco, con Barbara e Stefano hanno progettato e poi guidato per quindici anni Berit, percorso di accompagnamento per coppie ferite. Il testo nasce quindi da quell’esperienza, con l’intento di condividerne prospettive e orizzonti. Il testo offre inoltre una lettura del capitolo VIII di Amoris Laetitia, in particolare per ciò che riguarda il cammino di discernimento auspicato nelle situazioni di divorziati in nuova unione.


La condivisione intrisa di compassione è sicuramente un primo passo nell’accoglienza degli sposi separati; tuttavia, da sola non basta e può essere anche dannosa. Com-patire è possibile solo se questa azione è accompagnata da una competenza che eviti di cadere in derive emotive. Diversamente si va a ledere l’efficacia e il progredire stesso del cammino di elaborazione dell’evento separativo. Entrare in quel dolore richiede, dunque, rispetto verso chi sta condividendo la propria storia, che non può essere liquidata con risposte e giudizi facili, spesso frutto proprio delle emozioni dei conduttori. Due sono, infatti, le tentazioni per chi guida il gruppo: dare risposte immediate al dolore; e giudicare la storia. È difficile stare di fronte alla fatica e alla disperazione altrui senza lasciarsi trasportare o senza giudicare ciò che si ascolta.

È necessario quindi prepararsi adeguatamente per poter accompagnare questi fratelli e sorelle a una piena consapevolezza di sé, della propria vita e delle responsabilità rispetto alla separazione. Per fare questo è fondamentale che i conduttori del percorso siano aperti non solo a un ascolto empatico, ma anche a un contenimento dell’empatia. Così, tra contenimento e accoglienza, l’accompagnamento prende forma e diventa efficace. In questo orizzonte metodologico, diventa importante che il gruppo venga informato sulla struttura degli incontri, su ciò che è stato pensato e preparato. Questa prima fase dell’incontro permette a ciascun partecipante di entrare in qualsiasi momento, avendo delle coordinate che non lo facciano sentire mai a disagio o estranei alla situazione. Così come uno spazio che ha il sapore di casa veicola l’idea simbolica di accoglienza, così anche l’illustrazione di cosa è stato pensato per ogni tappa del cammino aiuta a rendere familiare l’attività del gruppo. Il racconto del cammino da fare con il pensiero rivolto ai bisogni e alle ferite di ognuno avvicina anche l’ultimo arrivato, il quale si ritrova nelle storie dei suoi compagni e avverte che il percorso che sta seguendo è stato pensato fin dagli inizi anche per lui.

Ognuno trova un posto dentro una cornice che si fa chiara. D’altra parte, questa stessa cornice non serve solo a contenere e coordinare, ma diventa punto di riferimento nel tempo e nella quotidianità. Dare una scansione e una continuità al percorso significa confermare la volontà di compiere il cammino insieme. Vuole dire anche invitare delle persone, che troppo spesso vengono lasciate sole, a prendere un impegno con loro stesse, con il proprio vissuto, con la fede e i fratelli. Infatti, la scelta di una cadenza puntuale degli incontri del percorso è di aiuto nel responsabilizzare sia i conduttori sia i partecipanti e nell’educarli alla fedeltà. Metodologicamente è bene anche che ogni incontro, pur seguendo un filo rosso tematico scelto per l’anno pastorale, apra e chiuda l’argomento del giorno, in modo da facilitare in ogni momento l’ingresso o l’uscita di persone dal percorso stesso. La realtà vissuta da chi è ferito dalla separazione è molto dinamica e può conoscere tempi di forte instabilità. Una cadenza segnata da appuntamenti che siano auto- conclusivi aiuta a riprendere più facilmente il cammino anche qualora lo si sia dovuto interrompere per mille motivi diversi La cornice che accoglie un gruppo di sposi feriti contempla una flessibilità dovuta soprattutto al fatto che l’evento separativo in sé non è mai veramente concluso, soprattutto se si è in presenza di figli, che inevitabilmente creano una continuità nei legami e che, quindi, in caso di separazione, aprono alla fatica di una vita ancora da condividere pur non essendo più sposi.

Essere flessibili, pur nel contenimento, diventa allora una necessità. Anche il criterio metodologico da adottare deve permettere a tutti di sentirsi non solo accolti, ma anche messi in grado di prendere ciò che è utile in quel momento preciso della propria esistenza. Quindi, anche la cornice tematica, pur essendo molto chiara, non dovrebbe mai avere la pretesa di fidelizzare, ma piuttosto di stimolare la ricerca fedele della verità, passo dopo passo, incontro dopo incontro, nella libertà dei figli di Dio. « Il Signore ti custodirà da ogni male: egli custodirà la tua vita. Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri, da ora e per sempre» (Sal 121, 7-8). Divenire annuncio di un Amore più grande, che resta fedele anche nelle nostre incertezze, dovrebbe essere uno dei compiti principali del percorso. Si entra e si esce responsabilmente da esso, sapendo che ogni volta siamo ospiti attesi, ma anche chiamati a fare un passo, perché la nostra vita sia veramente vissuta e custodita da e nel Signore. (…) Parlare di perdono, in un percorso di sposi separati e divorziati, è sicuramente un passo fondamentale per un accompagnamento che voglia dirsi serio ed efficace. Tuttavia, i tempi in cui proporre la riflessione su questo tema così spinoso devono essere scelti oculatamente, richiedendo delicatezza e gradualità. Sono i conduttori del gruppo ad avere il compito di individuare quando tale riflessione possa essere effettivamente feconda per i partecipanti. L’esperienza di tanti anni di accompagnamento in ascolto di storie dolorose di separazione ci ha insegnato che c’è un momento in cui non è opportuno parlare di perdono.

Quando il dolore è ancora bruciante, c’è il rischio, infatti, di aggravare la situazione. Solo dopo che si è riconquistata la propria appartenenza e intimità con Dio e dopo che si è indagato sulla propria sofferenza fino ad avere il coraggio di staccarsene, si può affrontare in gruppo un tema tanto delicato come quello del perdono. Riuscire a perdonare è già di per sé faticoso, ancora di più lo è quando si è subita la separazione, caso in cui le possibilità di riconciliazione con l’ex coniuge sono spesso illusorie. Preparare al perdono vuol dire preparare le persone all’eventualità, a volte neppure troppo remota, che non ci sia alcuna via di riconciliazione. Vuol dire indagare il per-donare in quella sua dimensione di assoluta gratuità che è propria solo di Dio. La via da intraprendere è, dunque, quella non facile di esaminare tutte le declinazioni possibili del tema. Le icone bibliche devono accompagnare i partecipanti a percorrere le tappe successive in una sorta di cammino pedagogico di avvicinamento: dal “sapersi perdonati”, al più difficile “perdonarsi”, e infine al “perdonare”, contemplando l’eventualità che nella relazione ferita l’altro si prenda la libertà di non accettare il dono che gli si fa. Non ultimo, il cammino dovrà restituire la fondamentale differenza tra il senso di colpa, che spesso ripiega le persone su sé stesse, e un più sano senso del peccato con la conseguente riconquista della propria libertà sanata.

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