
Icp online
C’è in Italia una legge sull’educazione dei figli nella separazione che è profetica nei principi ma fallimentare nella realizzazione. Lo riconoscono tutte le parti in causa, magistrati, avvocati, esperti del settore e, soprattutto, i genitori separati. Così da anni si moltiplicano le proposte per modificare la legge 54 del 2006 che afferma la parità di doveri e diritti nell'accudimento, cura ed educazione della prole. Qual è il problema? La legge enuncia principi condivisibili, per esempio quello della bigenitorialità, cioè l’impegno nel continuare ad esercitare il diritto-dovere dell’educazione anche quando la famiglia si disgrega, ma non ne indica le modalità. Così si parla spesso di affido solo “formalmente” condiviso, mentre si dovrebbe arrivare a una prassi in cui l’affido sia “materialmente” condiviso. Anche per evitare le sollecitazioni che arrivano dall’Europa che, attraverso la Corte per i Diritti dell'Uomo, ha sanzionato l’Italia ripetutamente negli anni, condannandola a notevoli risarcimenti. Come fare? Negli anni le proposte di modifica della legge sono state tante, ma nessuno ha realizzato l’obiettivo.
Ora, tra le diverse proposte, ce n’è una, il ddl 832 a prima firma Alberto Balboni (FdI) giunta qualche giorno fa all’esame della Commissione Giustizia del Senato - «Modifiche al codice civile, di procedura civile e al codice penale in materia di affido condiviso» - che non piace alle femministe di Radfem Italia. Il ddl 832 è molto simile a un’altra proposta, quella del Comitato genitori per i figli, che raggruppa alcune decine di associazioni di genitori separati, nato proprio con l’obiettivo di varare una nuova legge sulla bigenitorialità, di cui abbiamo già a lungo parlato (vedi qui).
Radfem Italia ha scritto una lettera aperta alla presidente Giorgia Meloni, denunciando i rischi del ddl 832 che, con le sue pretese di bigenitorialità perfetta, si potrebbe tradurre – si sostiene nella lettera - in un nuovo attacco alle madri. “In questi anni – si legge nella lettera - abbiamo assistito a diverse vicende strazianti che riguardano minori strappati dallo Stato alle loro madri e collocati in casa-famiglia solo perché rifiutavano di vedere il padre, in molti casi denunciato penalmente per atti violenti. Una vittimizzazione secondaria che nel 2022 era stata ben illustrata dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, che aveva preso in esame ben 1.400 casi”.
Qual è il punto che non convince le femministe? Oggi l’articolo 337-ter del Codice civile stabilisce che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ogni genitore e «rapporti significativi» con i parenti. E affida al giudice, in caso di separazione, il compito di adottare i provvedimenti «con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale» dei figli.
Nella nuova formulazione – si legge nella sintesi di Radfem - «il figlio minore ha diritto, nel proprio esclusivo interesse morale e materiale, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e rapporti significativi con i parenti» e «il giudice che disciplina l’affidamento della prole dispone che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori» e che la collocazione nelle case sia paritetica. Questo significa che il minore vivrà obbligatoriamente e alternativamente e per lo stesso tempo nella casa materna e in quella paterna. Due case, due vite, magari anche lontane fra loro: può essere questo il superiore interesse del minore?”.
Nella proposta di legge del Comitato genitori per i figli – in cui sono presenti per larga parte associazioni di padri separati - si tenta di superare il problema rovesciando le prospettive. Non saranno più i piccoli a doversi allontanare dalla casa familiare, seguendo le peregrinazioni, sempre faticose e talvolta sgradevoli decise dalla mamma e dal papà che non riescono più a parlarsi, ma i genitori ad alternarsi nella casa familiare: “L’eventuale assegnazione della casa familiare – recita la proposta - potrà essere disposta solo a favore dei figli, prevedendo che i genitori vi si alternino secondo i periodi di custodia della prole concordati tra di loro, o stabiliti dal giudice”. Idea brillante, in linea di principio, anche se non di semplice realizzazione. Non tutti i genitori a cui è stata affidata la casa familiare dispongono di una residenza alternativa per i giorni in cui la “custodia della prole” tocca al coniuge separato.
Ma è sull’obbligo a disporre un affido perfettamente paritetico che s’appuntano le perplessità di Radfem. “In realtà - scrivono - un dispositivo per un nuovo attacco alle madri. Intenzione rivelata là dove, nel testo del ddl, si afferma minacciosamente che: «Il giudice può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona, preferibilmente dell’ambito familiare o, nell’impossibilità, in una comunità di tipo familiare»”.
Insomma, se uno dei genitori, ostacola in modo evidente i contatti con l’altro/a, il giudice può intervenire (art.16 del ddl 832), soprattutto “nel caso in cui abbia costruito ad arte situazioni ostative al contatto del figlio con l’altro genitore. In questo caso si è ritenuto che non sia sufficiente la previsione di un meccanismo punitivo o risarcitorio del danno, ma che andasse prioritariamente disposto, ove possibile, il ripristino dello stato antecedente, ovvero interventi mirati alla restituzione o compensazione di quanto indebitamente sottratto o negato (si pensi, ad esempio, a giorni di frequentazione saltati)”».
Perché questa annunciata severità verso i veri o presunti ostacoli frapposti da un genitore nei confronti dell’altro preoccupa così tanto Radfem? Perché si sostiene che sullo sfondo ci siano sempre e comunque le insidie della Pas (sindrome da alienazione parentale), riconosciuta anche dalla Cassazione priva di ogni fondamento scientifico. Ma anche altre idee talvolta avanzate dalla psicologia, quella della madre «malevola» o «simbiotica», talvolta citate si fronte a «situazioni ostative al contatto del figlio con l’altro genitore». Di un padre malevolo o simbiotico non si è mai sentito parlare, aggiungono le femministe. Perché? Non è difficile rispondere. Ancora oggi, in tempo di affido condiviso, il genitore cosiddetto “collocatario” o “prevalente” (situazioni che la legge 54 avrebbe dovuto superare e non l’ha fatto) risulta, in nove casi su dieci, la madre. Quindi è la madre che, nelle situazioni peggiori e che non dovrebbero mai più ripetersi, si troverebbe nella posizione di ostacolare l’esercizio della genitorialità del padre. Succede, purtroppo, anche senza evocare la Pas o altre vere o presunte psicopatologie materne.
Va detto che né il ddl 832, né la proposta del Comitato genitori per i figli, evocano mai né la Pas, né altre presunte patologie a carico della madre, ma nel secondo caso si parla genericamente di “stalking genitoriale”, ovvero della necessità di riconoscere e contrastare “il malsano comportamento atto a contrastare la frequentazione con i figli con l’altro genitore, individuando pene chiare ed efficaci. La problematica è stringente in quanto numerose coppie di genitori separati – si legge nella proposta del Comitato - spesso usano i figli come mezzi per la loro conflittualità manipolandoli nella relazione e impedendo loro, volenti per pressione psicologica o nolenti, la regolarità della frequentazione con l’altro genitore”. Prassi detestabile, al di là delle diverse posizioni, perché quando un genitore separato mette in cattiva luce l’altro/a agli occhi dei figli, i danni non riguardano solo i “turni di frequentazione” ma corrode talvolta in modo permanente l’immagine di quel genitore nel cuore dei ragazzi.
Radfem fa notare inoltre che il ddl non prevede nulla in caso di violenza acclarata da parte dei padri, tanto meno in caso di violenza presunta. “La violenza – si legge ancora nella lettera aperta - è alla base di molti casi di separazione - spesso assistita da parte dei figli - ma nei tribunali civili troppo spesso non si prendono in considerazione i procedimenti penali a carico di padri indagati o condannati per violenza”. Preoccupazioni, queste, assolutamente condivisibili e, quella citata, pessima prassi giuridica a cui prestare rimedio.
Sullo sfondo rimane la sensazione di una contesa tra madri e padri separati un po’ fuori dal tempo e, soprattutto, dalle logiche che si dice voler superare. Se entrambi, come dovrebbe essere palese, hanno davvero a cuore il “superiore interesse del minore” non sembrerebbe difficile trovare un punto d’intesa per riformare una legge che non funziona – e quindi danneggia tutti, bambini, madri e padri – senza che la proposta abbia sapore, in base ai diversi punti di osservazione, né di “maternità malevola”, né di “paternità machista”. Sarebbe davvero impensabile allora arrivare a un testo unico, capace di preservare il meglio dalle varie proposte, con il contributo di tutti? Anche da separati, gli interessi di madri e padri o sono coincidenti, al di là della diversità di opinioni, o sono sospetti. E quando si scatena il conflitto – anche su una proposta di legge - le uniche vittime sono, come sempre, i più piccoli. Noi siamo dalla loro parte. Sempre.