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Arriva in libreria il nuovo libro di Vincenzo Rosito, Famiglia e apprendimento sociale. Nuovi orizzonti di ricerca (Studium, Roma 2025). Si tratta di un testo che nasce dall’esigenza di rinnovare in chiave partecipativa e collaborativa gli studi interdisciplinari sulle famiglie contemporanee. Non solo riflessioni sulle realtà familiari e sulle loro trasformazioni, ma anche indicazioni su come “studiare insieme” le famiglie oggi. Questo saggio si propone di indagare sia la famiglia in quanto realtà sociale, ma anche i gruppi e le forme aggregative che scaturiscono dal comune interesse di studio verso le famiglie stesse. Esiste un “noi” costituito dai membri di una famiglia e da coloro che la frequentano o entrano in contatto con essa. Tuttavia, esiste anche un “noi” formato dalla comunità di esperti e di ricercatori che studiano le famiglie contemporanee e che si costituiscono in gruppi o collettivi diversificati. Qui sotto uno stralcio dal nuovo libro di Rosito, docente di Storia e cultura delle istituzioni familiari presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia.
Il campo della vita quotidiana è disseminato di abilità e gesti che non si apprendono propriamente a scuola, all’università o in un corso di formazione professionale. Ci riferiamo a quelle competenze che rimandano ai saperi cosiddetti “impliciti”: abilità incorporate che abbiamo acquisito per imitazione ovvero osservando e riproducendo quello che altre persone fanno all’interno di alcuni contesti specifici (cucinare, guidare, rispondere a messa, giocare a carte, fare gli inviti ai propri familiari in vista del pranzo di Natale, ringraziare gli amici il giorno dopo una piacevole cena insieme). In quanto gesti della vita quotidiana tutte queste azioni rimandano al funzionamento dell’apprendimento situato. Tali gesti inoltre esprimono esattamente il modo con cui “apprendiamo in famiglia”, vale a dire non solo attraverso il ricorso alla parola o alla trasmissione orale di istruzioni e contenuti di conoscenza. Quando arriva il momento della partenza per le vacanze tutti sanno come ci si deve comportare e ciascuno conosce quello che bisogna fare: c’è chi ha il compito di prendere le valigie in soffitta, chi deve occuparsi di selezionare i propri vestiti ma anche quelli dei più piccoli, chi prepara il cibo per il viaggio, chi ha l’incarico di lasciare la casa in ordine e pulita, infine chi deve sistemare il bagagliaio dell’automobile. Tutti questi gesti non rimandano semplicemente ai ruoli o alle funzioni di una famiglia ben organizzata, ma esprimono una serie di conoscenze situate in funzione delle quali ogni persona si riconosce in quanto membro della propria famiglia.
La spiritualità familiare (abitudini e stili propri di ogni famiglia) è strettamente connessa con la gestione dei saperi incorporati e interiorizzati da parte dei membri di un nucleo familiare. In altri termini, i saperi situati hanno una funzione fondamentale, sebbene nascosta o inespressa: fare in modo che ogni membro della famiglia sia in grado di affermare “da noi si fa così”, permettere cioè a ciascuno (genitori, figli, nonni, zii) di riconoscersi in alcune pratiche contestuali e condivise, rispetto alle quali è necessario maneggiare determinate conoscenze, apprese prevalentemente durante lo svolgimento di alcune azioni comuni. Non so quando ho imparato a caricare il bagagliaio dell’automobile, ma so che nessuno della mia famiglia me lo ha spiegato, semplicemente mi sono accorto che sapevo farlo nel momento stesso in cui lo stavo facendo, forse per la prima volta. La maggior parte dei saperi e delle conoscenze che apprendiamo in famiglia seguono questa dinamica di apprendimento e sono strutturate sulla base di questa prassi pedagogica. Se dunque in famiglia “impariamo così” (secondo la logica dell’apprendimento situato), gli studi interdisciplinari sulla famiglia dovranno concentrarsi particolarmente su queste peculiari modalità di gestione dei saperi familiari.
Schematicamente potremmo dire che l’apprendimento situato ha tre caratteristiche. La prima è che si sviluppa principalmente attraverso pratiche di corrispondenza, non solo attraverso esplicite esperienze di trasmissione o educazione orale. La seconda caratteristica consiste nel fatto che l’apprendimento situato viene prevalentemente orientato e sollecitato da problemi (problem-oriented), non tanto da contenuti. Terza caratteristica: l’apprendimento situato è multimodale, si struttura cioè attraverso linguaggi, metodologie e approcci diversificati che per essere adeguatamente compresi richiedono forme di studio interdisciplinare e pratiche didattico-investigative specifiche come il laboratorio.
Da diversi anni l’antropologo inglese Tim Ingold si sta dedicando al progetto scientifico di trasformare l’antropologia culturale in chiave educativa. Secondo tale prospettiva l’antropologia non sarebbe la scienza che si limita a “studiare gli altri”, ma diventa una forma particolare di sapere che per indagare le culture diverse dalla propria “studia con gli altri”. Pertanto l’antropologo tende a collocare sé stesso e la propria ricerca nei contesti culturali in cui individui e gruppi apprendono in maniera formale (scuole, università, centri di ricerca, atelier di sartoria, luoghi di apprendistato professionale) o in maniera informale (famiglie, clan, gruppi associativi, mercati). In poche parole, per studiare gli altri bisogna studiare con loro, dal momento che «l’educazione è una pratica di attenzione, non di trasmissione». Questo principio discende da un presupposto più radicale riassumibile nell’idea che le persone stanno sempre “con le cose” prima di farci qualcosa. La prossimità ovvero l’implicazione con gli oggetti di uso quotidiano, ma anche con gli oggetti di studio, prevale sull’uso strumentale che possiamo fare di quegli oggetti. Dunque anche come studiosi e ricercatori la postura frontale dell’osservatore davanti alla cosa osservata (soggetto-oggetto) viene anticipata o superata dalla posizione di chi è intrecciato o aggrovigliato (entangled) con l’oggetto che si vuole indagare. Questa prospettiva diventa particolarmente significativa per un ricercatore o una ricercatrice che si occupano di famiglia.
Per meglio spiegare questi contenuti Ingold ricorre ad alcune immagini particolarmente evocative. Tradizionalmente la forma del contratto (politico o matrimoniale) è stata rappresentata con l’immagine di due anelli intrecciati. Questa raffigurazione simbolica mette l’accento sulla staticità dell’alleanza, immortalando un singolo momento del processo contrattuale ovvero quello della somma unitiva e addizionale dei contraenti, siano essi cittadini o sposi, entrambi figli dell’immaginario contrattualistico della modernità occidentale. Alla forma del contratto (anelli), Ingold contrappone quella della corrispondenza (corda). Nell’immagine della corda i fili che si distendono nello spazio e che si rincorrono sovrapponendosi e intrecciandosi, spostano l’accento sulla processualità o ancora meglio sul perdurare della relazione di alleanza in quanto relazione di corrispondenza. La corda è in grado di rappresentare un’altra visione o concezione del contratto in quanto storia di reciprocità perdurante tra due o più persone. «La vita sociale non sta nell’associazione di bolle, bensì nella corrispondenza di linee».
Sappiamo infatti che c’è un altro volto o risvolto della creatività umana ed è quello in cui agiamo con-crescendo con gli altri, trasformandoci assieme a essi attraverso un gioco di corrispondenza in cui dobbiamo “sentire con gli altri” per poter riadattare il nostro passo al loro, per modificare la propria andatura o velocità, per riposizionarci in funzione degli altri fili della corda che intrecciamo nel corso della nostra vita (politica o familiare). «È prestandosi reciprocamente attenzione, mentre procedono insieme, che gli individui corrispondono».