sabato 11 maggio 2019
Nel Paese stremato da anni di sacrifici il 40% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Il governo punta su politiche per le classi meno abbienti, ma i margini sono stretti
Grecia, dopo il tunnel la speranza. Ma la ripresa è fragile
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La Grecia va alle urne il prossimo 26 maggio per scegliere i nuovi deputati del Parlamento europeo con l’incubo del default alle spalle. Ma questa sembra davvero essere l’unica buona notizia. Il Paese è stremato da dieci anni di sacrifici, che hanno impoverito gran parte della popolazione, e iniziano a vedersi forti differenze sociali fra chi si è lasciato la crisi alle spalle ed è pronto per ricominciare e chi non vede fine a una condizione di miseria e privazioni.

Per accorgersene, basta fare un giro per le strade di Atene. La capitale greca si divide fra chi, molto pochi, guarda al futuro con rinnovato ottimismo e chi, la maggior parte, non si è ancora accorto che l’austerity, almeno dal punto di vista teorico, è finita. Il centro di Atene è un ribollire di locali nuovi, vita culturale sempre più vivace e investimenti.

Il quartiere di Psirri, non lontano dalla zona monumentale e Monastiraki, sta cambiando letteralmente volto. Un tempo era la zona turcofona della capitale, con le sue botteghe e i suoi angoli caratteristici. Oggi, anche grazie alla componente folkloristica che caratterizza le sue strade, si sta riempiendo di case in affitto per turisti, complice la posizione strategica e gli immobili acquistati a prezzi vantaggiosi. Che la Grecia, a modo suo, si stia riprendendo, se ne sono accorti anche gli investitori stranieri, che stanno tornando nel Paese e che, sulle coste vicine alla capitale, stanno costruendo alberghi categoria lusso, pronti ad accogliere il flusso di turisti in costante crescita.

In altri quartieri, però, cresce la rabbia della gente, anche a causa di un’emergenza migratoria che l’Ellade ha avuto ancora più difficoltà a gestire a cause delle condizioni economiche pessime. Il risultato è che quartieri centrali della capitale, che un tempo erano aree residenziali, oggi sono in preda al degrado. La zona attorno a Piazza Omonia è da tempo sotto il controllo della microcriminalità, di spacciatori e tossicodipendenti che dormono sotto i portici o negli androni delle case. Le statistiche dicono che, nonostante secondo le stime il Pil greco crescerà del 2,2% nel 2019, il 40% delle persone vive sotto la soglia di povertà, percependo meno di 350 euro al mese. Hanno dovuto rinunciare a tutto, iniziando da vestiti e vacanze, fino ad arrivare alle spese per il cibo e la sanità. Fra i più colpiti ci sono gli anziani.

Il Comune di Atene, in mezzo a mille problemi, cerca di fare la sua parte. Molti vengono aiutati dalla Chiesa Ortodossa, che da anni allestisce mense per i poveri, dove, allo stesso tavolo, si trovano chi ha perso tutto a causa della guerra e chi a causa di quella Ue nella quale si continua a credere ancora, ma solo perché senza le cose potrebbero andare ancora peggio. In molti lavorano a queste mense come volontari, per riuscire a portare qualcosa a casa la sera, generi alimentari, a volte avanzi. «Esistiamo e basta ma non viviamo più – spiega ad Avvenire Eftimia Konsta, che lavora in una delle mense comunali –. Io sono in pensione. Ho due figli che hanno perso entrambi il lavoro. Il nostro unico desiderio è avere qualcosa da mangiare. Sono in tanti a essere nelle nostre condizioni, gente che prima viveva in modo normale».

Il rischio xenofobo e sovranista è alto e il giovane premier greco, Alexis Tsipras, che doveva essere l’alfiere contro le politiche dell’austerity e che invece si è rivelato l’interlocutore più affidabile di Bruxelles, rischia di pagare un prezzo molto alto per le sue scelte. Adesso la Grecia è fuori dal programma di aiuti internazionali e ha ripreso timidamente a crescere, ma le falle nell’economia sono ancora tante e soprattutto il giovane leader di sinistra rischia concretamente di non raccogliere i frutti del suo lavoro.

Il voto europeo, infatti, è propedeutico a quello politico, che dovrebbe tenersi in autunno e che al momento vede il partito di sinistra al governo Syriza sotto di 10 punti rispetto al partito conservatore, Nea Dimokratia. Il suo leader, Kyriakos Mitsotakis, non ha un orientamento sovranista, tuttavia sta usando come una delle principali armi della sua campagna elettorale l’accordo storico raggiunto nei mesi scorsi con il cambio del nome, da parte della Macedonia, in «Macedonia del nord», chiudendo così una disputa storica e ottenendo da Atene un via libera necessario per l’ingresso della repubblica balcanica nella Nato e nella Ue. L’accordo è stato valutato negativamente dal 60% dei greci, che rappresentano una potenziale sacca di voti da cui attingere. Un’impronta nazionalista, cavalcata anche dal partito neonazista Alba Dorata, che negli ultimi sondaggi è attestata intorno al 9% e che sul capitolo Macedonia e migranti conta di raccogliere i voti dell’elettorato più deluso e ancora colpito dalla crisi.

«Mentre ci avviciniamo alle elezioni a suon di attacchi, scandali e bugie, la fotografia dell’economia reale sta peggiorando – spiega ad Avvenire l’analista Nikos Konstadaras –. Senza investimenti e riforme sostanziali, l’economia scivolerà di nuovo nel pantano, forse anche in recessione».

Il premier Tsipras sta puntando tutto sulle misure prese per aiutare le classi sociali meno abbienti. Ma il calo dei consensi si sente e ha ordinato al suo ministro delle Finanze, Euklides Tsakalotos, di varare ulteriori misure, che entreranno in vigore in due tranche, la prima nelle prossime settimane, a ridosso del voto europeo e la seconda in autunno, in previsione di quello politico. Ma potrebbe trovarsi di traverso l’Unione Europea, per la quale il governo greco ha margini di manovra solo per 70 milioni di euro, insufficienti per le manovre a cui pensa il premier.

Dall’altra parte, l’avversario Mitsotakis si tiene lontano da posizioni sovraniste, ma sta mandando a Bruxelles chiari messaggi sul fatto che, se dovesse vincere le elezioni, come pare, non sarà collaborativo con il suo predecessore. In particolare, per andare avanti con l’ingresso della Macedonia del Nord nella Nato e in Ue, l’esponente conservatore ha dichiarato: «Non ci piace, ma lo rispettiamo. Lavoreremo per migliorare gli aspetti e le conseguenze dell’accordo che al momento vanno contro i nostri interessi».

I giorni peggiori per l’Ellade sono finiti, ma l’incertezza è ancora molta e condizionerà sicuramente il voto del 26 maggio. Le istituzioni internazionali, per primo il Fondo monetario internazionale, sostengono che Atene, nonostante i progressi, «deve continuare sulla strada delle riforme». La vulnerabilità dei suoi mercati è ancora alta, così come la mancanza di disciplina fiscale, che rende l’equilibrio economico interno ancora molto precario. Insomma, ci sono ancora sacrifici da fare. Il punto è che nessun partito politico vuole dirlo all’elettorato.

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