
IMAGOECONOMICA
La risposta ai dazi e l’esigenza di una Difesa comune sono circostanze nuove, epocali, che l’Europa ha di fronte. «Possono essere l’occasione per trovare finalmente una politica comune. Debbono esserlo, anzi, altrimenti l’Unione rischia di implodere», avverte Giulio Tremonti. Fautore con largo anticipo, non ascoltato, degli eurobond, da scrittore e analista ha anticipato la crisi della globalizzazione, e oggi, con Fdi, da presidente della Commissione Esteri della Camera, nel libro Guerra o pace appena uscito per Solferino, descrive i cambiamenti «rivoluzionari» in atto, che ricordano per intensità quelli del Cinquecento: «La scoperta dell’America; l’invenzione della stampa; l’invasione musulmana ai confini d’Europa e la prima crisi finanziaria globale. Il Mundus furiosus, fu definito. Oggi – dice - viviamo in un’epoca altrettanto traumatica a causa di quattro fenomeni paralleli: la “scoperta” dell’Asia e principalmente della Cina; il dominio della Rete; il rischio di una nuova crisi finanziaria; la guerra sul fronte orientale, dall’Ucraina al Mar Rosso. Ma invece di un secolo, come nel Cinquecento, tutto ciò è accaduto in soli 30 anni».
La fine del secondo millennio ha portato la globalizzazione, l’inizio del terzo disegna la sua crisi, con i sovranismi e la minaccia dei dazi. Che cosa sta accadendo?
Quando criticavo la globalizzazione ero una voce un po’ inascoltata. Ora è evidente che l’ultima utopia del Novecento, il mercatismo (il mercato sopra, tutto il resto, popoli e politica, sotto) è crollata. Il mercato è ancora globale, ma non detta più la linea politica, la sorte dei governi e dei popoli. Saltano tutte le vecchie regole, si modifica anche il rapporto fra Usa ed Europa. Oggi l’intensità di questi cambiamenti si riflette anche sull’andamento di Wall Street.
Ma il cambiamento degli Usa va ben oltre il mondo della finanza, coinvolge la middle class e i ceti più poveri…
Perché mentre in Europa il Welfare lo fa lo Stato, negli Usa lo fa la Borsa, dove investono i fondi per finanziare pensioni, sanità, scuola. È così che c’è un rapporto fra Wall Strett e l’american people.
Come nascono i dazi di Trump? Sono solo una misura economica o anche un segnale politico?
L’una e l’altra cosa insieme. Sono un modo per dire «vi risarciamo dei danni che avete subito» e al tempo stesso un modo per finanziare un migliore tenore di vita futuro. Nel 1994, nel pieno del mito del Wto, scrissi Il fantasma della povertà per segnalare il rischio che i capitali potessero andare in Asia, alla ricerca di mano d’opera a basso prezzo mentre l’Occidente avrebbe importato povertà. La fabbrica, lo vediamo, è andata in Cina, la finanza si è arricchita, ma la classe operaia è andata alla disperazione. Per capirlo bisogna leggere L’elegia americana del vicepresidente James David Vance. Ora arriva Trump e promette: «Io vi vendico, e con i soldi dei dazi vi faccio stare meglio».
Funzionerà?
Ho l’impressione di no. Intanto partono i contro-dazi, con esiti imprevedibili. Ma poi ci sono le ripercussioni sui tassi di interesse, sul cambio e soprattutto sulle Borse, con quel che ne consegue, negli Usa, per la tenuta del Welfare.
Ma che cosa c’entra l’Europa se lo “sbilancio” riguarda i mercati asiatici?
Ma lui ce l’ha con tutti. Puoi anche protestare contro l’Iva europea, ma lo sbilancio è a favore degli Usa sui servizi, basti pensare a Google, Amazon eccetera. Inoltre ci può poi essere un effetto boomerang, perché molte industrie che producono in Europa hanno proprietà americana.
Sta dicendo che Trump farà due conti e sui dazi si fermerà alle minacce?
Sto dicendo che la partita è più complessa di quel che si crede e molto dipenderà dalle reazioni di Wall Street che finora sembra aver tifato Europa.
E noi come la mettiamo?
Dal lato nostro la questione è tutta europea, il commercio estero è competenza dell’Unione, non nazionale. Detto questo se l’Europa è debole è colpa dell’Europa. Posso citare un mio libro del 2005, Europa, rischi fatali? Mi riferivo alla Cina, al “mercatismo” suicida, all’Europa troppo elitaria e “monetaria”. Ora, contro i dazi, si pone l’opportunità di una diversa risposta comune, ma la domanda è: ne saremo capaci?
Lei che pensa?
Lo vedremo, possiamo solo dire che su questo, finora, l’Europa non c’è stata. L’Europa ha prodotto 396 Km lineari di regole. Abbiamo delirato sull’Antitrust, vietato gli aiuti di Stato dovendo poi le nostre imprese competere con altre che non avevano questi limiti. Forse, citando Einstein, la soluzione dei problemi, ora, non può essere affidata a chi li ha creati.
La Difesa comune è un’ulteriore complicazione o un tema ineludibile?
Nel 2003 era già evidente che, per effetto della globalizzazione, la geopoliticanon si poteva fermare sull’Atlantico, dove estendersi al Pacifico, e questo richiedeva un contributo europeo. Fu così che in Europa nel semestre italiano del 2003 fu fatta l’ipotesi degli Eurobond.
E di questi 800 miliardi di cui si parla che cosa pensa?
A gennaio erano 800 miliardi all’anno per la competitività, dopo 10 giorni sono diventati 800 miliardi per il riarmo. Mi pare che ci sia un po’ di confusione.
Si è parlato del concorso di capitali privati.
Non possiamo convertire i risparmi delle famiglie in capitali di rischio. Eviterei questa strada.
Servono gli eurobond, allora?
Non vedo alternative. Resto di questa idea, tanto più ora che è a favore anche chi allora era contro. Prodi presidente della Commissione europea era contrario, ora è a favore: benvenuto!
L’Europa è nata per evitare le guerre, come deve muoversi, per continuare a esercitare questo ruolo?
Considero il riarmo necessario, ma per la pace più ancora del riarmo è importante l’allargamento. Si deve superare la regola dell’unanimità, ma è necessarie allargare ai Paesi dell’Est, che sono Europa pur non essendo ancora nella Ue, ma senza politiche paternalistiche di “compiti a casa” da fare. Occorre far presto.
Mettere insieme i Volenterosi è una strada?
Qualcosa va fatto, anche questa strada può esser positiva. Ma, ripeto, si tratta di allargare a Est, subito e pacificamente, prima che si allarghi Putin a Ovest, con la guerra. Lo ha detto chiaramente: il futuro della Russia è nel suo passato; religione, tradizione, e antichi confini...