venerdì 4 aprile 2025
A tanto ammonta il nostro export con gli Usa. Nel comparto regna incertezza ma l'impressione è che sia stato evitato il peggio. Farmindustria: no a contro-dazi, gli Usa restano fondamentali
Molti prodotti farmaceutici sono esentati dai dazi Usa

Molti prodotti farmaceutici sono esentati dai dazi Usa - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Anche se nessuno degli interessati ha voglia di sbandierarlo ai quattro venti, l’aria che tira tra le aziende farmaceutiche europee è simile all’umore di un paziente appena sottoposto ad una Tac, il cui esito, ampiamente rassicurante, congela mesi di preoccupazione. Il pericolo non è del tutto scampato, visto che regna un’incertezza di fondo. Tuttavia, se è vero che il temuto Ordine esecutivo trumpiano sui dazi è ora operativo, è anche vero che le esenzioni di questi prodotti, garantite dalle economie avanzate aderenti all'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), sono numerose. Insomma, a meno di improbabili (ma pur ricorrenti) ripensamenti del firmatario dell’Ordine, non pagheranno dazio molti farmaci: dagli innovativi prodotti immunologici e cellulari impiegati per una lunga serie di patologie, agli antibiotici; e poi vaccini, anticorpi, preparati per la diagnostica, farmaci ad uso veterinario, fino ad una lunga serie di medicinali che combattono le infezioni. Si dirà: molti altri restano esclusi dall’assoluzione presidenziale, ma l’impressione è che Washington lasci una porta socchiusa visto che il testo presidenziale specifica che «le descrizioni dei prodotti sono fornite solo a scopo informativo».

Insomma, c’è margine perché le diplomazie raffreddino i bollenti spiriti dell’inquilino della Casa Bianca. Si possono leggere così le parole del presidente di Farmindustria Marcello Cattani: «Non bisogna reagire con contro-dazi perché vi sono, nell'ambito del ciclo produttivo dei farmaci made in Italy - siamo il primo Paese in Europa e di fatto al mondo - diversi passaggi che spostano farmaci, semilavorati, ingredienti attivi da una sponda all'altra dell'Atlantico nell'ambito del processo». E ancora: «Crediamo che parallelamente si debba insistere con l'espansione su altri mercati ma gli Usa restano un Paese alleato ed un Paese fondamentale del patto Atlantico con cui dialogare, negoziare e preservare un concetto di sicurezza globale».

Sul piano pratico, le cifre in ballo sono enormi. Gli Usa movimentano farmaci per un valore di 306,4 miliardi di dollari: 94,4 miliardi dei quali sono importati (l’export verso il resto del mondo vale 212 miliardi, 76,6 diretto in Europa). Una fetta non residuale arriva dall’Italia: l’Istat calcola che nel 2024 l’Italia è riuscita ad esportare negli Stati Uniti farmaci per un valore di 9,8 miliardi di euro, molto più di quanto abbia importato (1,4 miliardi); un dato sensibilmente superiore rispetto ai 7,7 miliardi del 2023. Difficile stilare la classifica dei farmaci italiani che arrivano direttamente nelle case degli americani. Le aziende nostrane non sono munifiche di informazioni in questo senso. Si sa però che le maggiori regioni che esportano farmaci sono la Toscana - indiscussa regina del segmento - che, solo considerando il quarto trimestre 2024, ha spedito negli Usa farmaci per un valore di 915 milioni di euro, la Lombardia (oltre 465 milioni) e il Lazio (407,2 milioni), molto più staccate Abruzzo e Marche. Del resto, Firenze ospita la più grande industria farmaceutica del nostro Paese, il Gruppo Menarini (i ricavi superano i 4,6 miliardi di euro) che ha sì interessi negli Stati Uniti ma, assicurano i suoi vertici, non incorrerebbe comunque nella tagliola dei dazi visto che quanto arriva ai pazienti Usa è prodotto direttamente negli Usa. Eppure, il più grande importatore di prodotti made in Toscana sono proprio gli Stati Uniti che, nel 2023, assorbivano il 44% dell’export regionale. Non solo Firenze: da Siena a Livorno, da Prato a Pisa e Lucca, in quasi tutta la regione operano importanti aziende, anche non italiane: qui hanno sede importanti poli produttivi o di ricerca di colossi del calibro dell’americana Lilly, della giapponese Takeda, o della britannica Gsk.

Tutti avrebbero avuto contraccolpi notevoli se avessero ricevuto lo stesso trattamento di altre merci. D’altra parte i primi a pagarne le conseguenze sarebbero stati proprio i pazienti statunitensi, costretti a sborsare molto di più per curare malattie al bisogno o, peggio ancora, croniche. I farmaci non si trovano al supermarket, hanno una specificità terapeutica non sostituibile, sono soggetti a brevetti. Insomma, ci vorrebbero anni prima di provare a produrre sul suolo Usa un antidiabetico esportato dall’Italia o dalla Francia, oppure di sostituire un antitumorale importato dalla Germania. Senza contare il problema (anche geopolitico) del reperimento delle materie prime; aspetto non proprio marginale visto il ruolo di primo piano che ha l’Asia in questo comparto, e la Cina in particolare. Paese, quest’ultimo, gravato più di ogni altro dai dazi trumpiani…

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: