Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e preisdente del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali europee) - ANSA
«La Chiesa che è in Europa, i vescovi europei, crede fermamente nell'Europa» perché una divisione del continente «sarebbe un dramma e, forse, la sua fine». Ad affermarlo è il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente dei vescovi europei, in un discorso pronunciato a Genova sabato 23 febbraio per l'inaugurazione dell'anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico regionale ligure. Senza unione, «senza anima», ha detto Bagnasco, l'Europa potrebbe diventare solo «un mercato a basso costo per il resto del mondo». Questa Europa però va ripensata, ripartendo dalle sue origini, «dall'umanesimo cristiano» e dal «personalismo cristiano di Schuman, De Gasperi e Adenauer» perché una unione senza «comunità» resta vuota.
«Ritengo opportuno ribadire – ha aggiunto il porporato – che la Chiesa, innanzitutto i vescovi del continente, crede fermamente nell'Europa, nella sua cultura cristiana, nella sua spinta umanistica, nonostante ombre e ritardi che la storia registra. La Chiesa crede nell'Europa, sul filo anche di ormai molti interventi dei pontefici, da Paolo VI a san Giovanni Paolo II, da papa Benedetto all'attuale papa Francesco – crede nel suo futuro e nella sua missione, che non è di tipo economico ma primariamente di ordine spirituale ed etico» e questo «è un punto un importante proprio per un ripensamento – come sollecita il Santo Padre – del cammino europeo». «La Chiesa – ha proseguito Bagnasco – crede che la cultura nasce dal culto, cioè dalla religione che svela agli uomini la loro origine e li richiama al loro destino, generando civiltà, bellezza e fraternità». Infatti «all'origine dell'Europa, non troviamo una dimensione genericamente spirituale ma specificamente cristiana».
Bagnasco ha quindi citato Novalis che, già nel 1799, scrisse: «Se l'Europa si staccasse totalmente da Cristo, allora essa cesserebbe di essere». E ha proseguito con le parole del filosofo di origini ebraiche Karl Löwith che «affermava con grande lucidità che il mondo storico nel quale si è formato il "pregiudizio" per cui chiunque abbia un volto umano possiede come tale la dignità e il destino di uomo non è originariamente il mondo del Rinascimento ma il mondo del Cristianesimo in cui l'uomo ha ritrovato la sua posizione di fronte a sé e al prossimo». Al punto che, continua Löwith citato da Bagnasco, «con l'affievolirsi del cristianesimo è diventata problematica anche l'umanità».
Per questo il cardinale ha ricordato «che siamo posti di fronte al tema del fondamento della dignità dell'uomo, dignità che le carte internazionali affermano come il punto di partenza e il fondamento del diritto» e che «siamo rimandati al fondamento di tale dignità, che ovunque è proclamata, ma nelle carte spesso non è fondata». «Questa – ha sottolineato l’arcivescovo di Genova – è una questione di capitale importanza, che richiama il rapporto tra politica e religione, monoteismi e democrazia, laicità e laicismo» e «impone una riflessione sulla trascendenza, ossia se l'uomo sia il fondamento di se stesso, oppure se si auto-comprenda in rapporto ad una istanza che lo trascende ma di cui è partecipe».
Il cardinale, che lunedì 25 terrà al Quirinale una relazione su «Chiesa ed Europa» alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha poi sollevato una questione relativa alla «missione del continente»: in pratica, se l'Europa debba avere un ruolo a livello internazionale, ed eventualmente quale. «I vescovi europei credono nell'unione – ha precisato ancora il porporato – e ritengono che l'Europa divisa sarebbe un dramma, forse la fine del continente». Sono anche convinti che «quanto più le spinte divisive sono forti, tanto più c'è bisogno di unità» e che «le spinte centrifughe devono essere considerate con serietà, non con supponenza». «Di fronte alla globalizzazione – ha detto ancora Bagnasco – è evidente che solo insieme è possibile vivere, per non diventare un mercato a basso costo per il resto del mondo». «Gli interessi economici di potenze antiche e nuove sono palesi», tanto che «tocca all'Europa fare fronte in modo unitario per non essere dilaniata». Ma «ciò sarà possibile solo con una rinnovata consapevolezza e con un saggio ritorno alle origini», anche se «questo significa, innanzitutto, fare un onesto esame di coscienza e una verifica intelligente del percorso svolto fino a oggi su almeno tre fronti: vedere le conquiste raggiunte, individuare le difficoltà, riconoscere gli errori sapendo che la verità non deve essere sostituita dal consenso, né la tradizione dalle abitudini».
Per questo è necessario ripartire dai padri fondatori – Schuman, De Gasperi e Adenauer – che «erano uomini liberi e avevano chiara la base fondativa del processo unitario che era la visione dell'uomo, il personalismo cristiano, alla radice di quel loro sogno che poteva apparire utopia ma aveva il sapore della profezia». Infatti, senza l'uomo «l'economia e la finanza sono piedi d'argilla, che non sono in grado di reggere l'edificio e possono diventare impedimento per realizzare la casa dei popoli e l'Europa delle nazioni». È per questo che i padri dell’Europa «molto più che ad una unione pensavano a una comunità», che è «espressione visibile della comunione di ordine spirituale, morale, culturale» perché «i soli interessi materiali non possono creare lo spirito comunitario, non possono sostenere né la speranza, né il sacrificio, né la gioia di camminare insieme».