IMAGOECONOMICA
Un’operazione che rischia di minare la biodiversità del sistema, di restringere il mercato riducendo la concorrenza e, infine, anche di penalizzare la clientela con un’offerta limitata su conti correnti e credito. C’è preoccupazione nel settore bancario dopo l’offerta presentata a sorpresa da UniCredit per acquisire la totalità delle azioni di Banco Bpm.
Anche perché quest’ultima operazione è strettamente legata all’investimento effettuato dall’istituto guidato da Andrea Orcel sulla banca tedesca Commerzbank e alle mosse effettuate da Banco Bpm sul capitale di Mps.
«Il risiko bancario che si prospetta con UniCredit come principale protagonista è un’opportunità, ma con dei rischi da non sottacere sui piani dell’integrazione e della regolamentazione», sostiene Enrico Berbenni, docente della facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Se le iniziative in campo andranno a buon fine, UniCredit diventerà uno dei più grandi gruppi bancari a livello europeo. Ma Berbenni parla appunto di «rischi non marginali» che vanno anche ad di là del sistema finanziario nel suo insieme: «Relativamente all’acquisizione di Banco Bpm, ad esempio, l’operazione potrebbe portare a una concentrazione spinta del mercato bancario italiano, una situazione in cui i primi due gruppi in Italia deterrebbero circa il 40% del mercato per depositi raccolti e prestiti erogati sul territorio nazionale.
Quali saranno le conseguenze per un’economia come quella italiana fatta in prevalenza di piccole e medie imprese e dove un numero crescente di territori sono andati incontro negli anni a un processo di desertificazione bancaria? Questa domanda bisogna porsela. Inoltre, non è affatto scontato che “grande” faccia rima con “solido e resiliente”: la storia, antica e recente, avrebbe molto da insegnare a questo riguardo». Allargando lo sguardo sul piano europeo non mancano alcune incognite: «Le reazioni del governo tedesco su Commerzbank dimostrano che ci muoviamo ancora all’interno di un clima improntato alla continua ricerca di una sovranità finanziaria che appare in evidente contraddizione con la ricerca, promossa dalla stessa Bce, di creare dei campioni continentali capaci di fronteggiare la concorrenza globale. Questo è solo uno dei grandi nodi irrisolti dell’incompleto processo di integrazione europea».
Sulle ultime mosse che riaccendono il risiko bancario interviene anche Federcasse, che rimarca ancor di più in questa fase l’importanza di poter contare su una diversità bancaria e su istituti di credito in grado di presidiare territori e sostenere comunità locali e piccole imprese: «Nel sistema bancario è in atto un processo che vede tra gli obiettivi primari la crescita dimensionale, soprattutto dei grandi gruppi transnazionali – premette il presidente di Federcasse Augusto dell’Erba –. Un processo importante che il libero mercato persegue. Dal nostro punto di vista riteniamo che il pluralismo delle finalità imprenditoriali, anche nel settore bancario, possa consentire di perseguire forme diverse di creazione di valore. Anche di natura sociale. Come ad esempio nei presidi bancari territoriali basati sulla prossimità sia fisica sia digitale». Secondo Federcasse in questa fase storica si rafforza la volontà delle Bcc, delle Casse Rurali e delle Casse Raiffeisen nel garantire, fino nei più piccoli centri, una presenza capillare di sostegno alle esigenze delle comunità locali in una logica mutualistica, che si estende anche ad altri ambiti come la promozione del welfare di comunità, il protagonismo dei giovani e il finanziamento delle imprese: «Più le grandi banche diventano, comprensibilmente, internazionali più c’è bisogno di banche ancorate ai territori e di proprietà esclusiva delle comunità – sottolinea Augusto dell’Erba –. Il Credito Cooperativo, con un terzo dei propri 4.090 sportelli collocati nelle aree interne continuerà a servire al meglio i territori dei quali sono espressione. Luoghi importanti di esercizio della democrazia economica e di partecipazione».
Massima attenzione alla vicenda c’è anche dai sindacati, soprattutto per le tutele occupazionali. «Di certo un’eventuale fusione tra Unicredit e Banco Bpm rappresenterà un test rilevante per gli assetti del settore – spiega il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani –. La nostra attenzione e applicazione sarà massima. Al primo posto, ovviamente c'è e ci sarà la tutela del lavoro. Intanto, non si vedono ragioni, anche in forza dei livelli di efficienza raggiunti, per ridurre il numero delle persone complessivamente occupate nei due gruppi bancari, che erano oltre 52 mila in Italia alla fine dello scorso anno. Infatti, una banca che vuol fornire un contributo per le trasformazioni epocali in atto nell'economia e nella società non ha bisogno di ridurre il numero di persone occupate, che dovranno essere continuamente aggiornate e formate».