giovedì 2 gennaio 2025
Il presidente del gruppo assicurativo, di Bocconi e Fondazione Airc parla dei grandi temi che riguardano il nostro Paese e il mondo. «Su Ius scholae e debito si può agire»
Andrea Sironi

Andrea Sironi - Imagoeconomica

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L’attesa per le prime, vere, decisioni di Donald Trump, le disuguaglianze che si allargano sull’asse Nord-Sud e si accorciano su quello Est-Ovest, i conflitti in Europa e Medio Oriente, i grandi debiti “umani” e finanziari. Nonostante un quadro geopolitico mai così incerto, il 2025 non è un copione già scritto: per l’Europa, che potrebbe e dovrebbe «trovare uno stimolo di fronte alle minacce di tipo protezionistico e isolazionistico che arrivano dagli Stati Uniti» e così per l’Italia, «che sta andando bene ma su cui ci sono nubi all’orizzonte». In questa intervista all’Avvenire , tra le poche degli ultimi anni, Andrea Sironi unisce le sensazioni raccolte da economista impegnato su più fronti, visto che è presidente di Generali, Università Bocconi, Fondazione Airc per la ricerca sul cancro. E anticipa di aver dato la sua disponibilità a un nuovo mandato al vertice della compagnia assicurativa, la più grande in Italia e tra i leader in Europa.

Professor Sironi, partiamo dall’Italia e dalla sua economia, specchio di una situazione carica di contraddizioni anche a livello sociale. Qual è la sua lettura?

L’Italia sta andando bene e il governo sta portando avanti una politica fiscale improntata alla prudenza, che è molto importante per il nostro Paese. Anche se ci sono nubi all’orizzonte. Penso anzitutto al calo della manifattura e della produzione industriale, dove dovremmo prestare attenzione non solo all’automotive. In secondo luogo, quella italiana è cresciuta meglio di altre economie dell’eurozona grazie principalmente all’effetto del superbonus – criticato a ragione, ma pur sempre una fonte di crescita importante – e agli oltre 194 miliardi di investimenti del Pnrr a noi destinati: questi due elementi si esauriranno da qui a due anni, ed è un motivo di preoccupazione.

Complici i passaggi delicati di Germania e Francia, l’Italia si trova a vivere un’inedita situazione di stabilità, come confermano anche i recenti riconoscimenti alla leadership di Giorgia Meloni. Come farne tesoro?

Sì, per la prima volta l’Italia beneficia di una stabilità politica superiore rispetto ai maggiori partner europei dell’Europa Continentale. Questo fattore si è riflesso positivamente nel livello di rendimento dei nostri titoli di Stato, con lo spread sceso ai minimi storici: ora occorre portare a termine le riforme strutturali richieste dall’Europa, e prospettate anche nel rapporto Draghi, per dare ulteriore spinta alla crescita.

Anche perché l’Italia ha problemi di carattere demografico molto più seri del resto d’Europa. I giovani sono diventati una risorsa rara e preziosa, ma non ha l’impressione che sia poco valorizzata e stimolata? Anche il presidente Mattarella, nel suo discorso di fine anno, ha lanciato un monito.

L’Italia affronta da anni un calo demografico importante, che continua a peggiorare nonostante gli interventi della politica. Il paese invecchia. Inoltre, ancora oggi abbiamo una quota di laureati inferiore alla media europea: sono poco più del 30% rispetto al 43% della media europea.

E di questi molti se ne vanno.

È una dinamica ancora più grave: continuiamo ad avere una fuoriuscita di oltre 300mila giovani negli ultimi 10 anni, di cui oltre il 37% laureati, attratti da migliori condizioni economiche e migliori garanzie di percorsi meritocratici. Possiamo in parte compensare questa dinamica attraendo giovani da altri paesi europei. Milano è riuscita ad attrarre giovani qualificati da tutto il mondo, e il ruolo chiave lo hanno avuto le università, dalla Bocconi al Politecnico fino agli altri atenei. Ma non è ancora sufficiente perché i flussi sono ancora squilibrati.

Per un motivo o per l’altro, tra i giovani c’è una componente straniera elevata. Non crede che un tema come la cittadinanza alle nuove generazioni, molto caro ad Avvenire, vada finalmente risolto?

Il problema ha almeno due facce. La prima è che investiamo risorse per dare una formazione di qualità ai giovani italiani che si laureano qui e poi se ne vanno all’estero. L’altra è che abbiamo bambini che nascono in Italia da famiglie di immigrati e che partono subito con un disagio perché non sono cittadini a tutti gli effetti, pur ricevendo lo stesso tipo di formazione dei loro compagni. Così incentiviamo anche loro ad andare via.

Quindi?

Quindi sono favorevole allo ius scholae, non solo per una questione di equità sociale, ma anche perché l’assenza di questo diritto comporta un ingente spreco di risorse per il nostro Paese. Come diceva: l’Italia non è sufficientemente attenta al capitale umano, e per avere una visione di lungo termine occorre puntare sui giovani.

L’altra conseguenza di un Paese che invecchia ci parla di un welfare chiaramente in affanno.

Il nostro Paese si trova a gestire risorse pubbliche limitate e insufficienti a coprire i fabbisogni. Per fortuna il terzo settore colma questa carenza, almeno in buona parte. Pensiamo soltanto alla sanità e alla ricerca. Organizzazioni come Airc raccolgono risorse significative e riescono a far rientrare in Italia giovani brillanti che sono emigrati per i motivi di cui parlavamo prima.

Ma ci sarebbe spazio per una nuova sussidiarietà pubblico- privato in cui mettere meglio a fattor comune questa risorsa?

Per forza, anche perché il deficit di protezione non riguarda soltanto la salute. Pensiamo al cambiamento climatico e agli investimenti necessari per la transizione energetica. Soltanto coniugando il ruolo del pubblico con le expertise del privato sarà possibile sostenere questi costi. Da diversi anni come Generali siamo convinti della necessità di questa forma di collaborazione.

Prima accennava a Milano, che conosce bene. L’impressione è di una città che corre ma lascia indietro: cosa ci insegna?

Il territorio di Milano è per molti aspetti un incubatore delle dinamiche del Paese. Così avviene per le disuguaglianze: la città è stata in grado di attirare investimenti internazionali e oggi ha un respiro europeo. In questo contesto, tuttavia, si è accentuata la distanza tra chi può accedere a tutte le opportunità e chi invece ne resta tagliato fuori. Questo si riflette in particolar modo nel divario di futuro cui vanno incontro i giovani: le disuguaglianze incidono fin da subito sul destino delle ragazze e dei ragazzi.

Allarghiamo lo sguardo: stiamo chiudendo un 2024 difficile, a livello geopolitico ed economico: quali sensazioni per il ‘25? Cosa ci aspettiamo dalla “diplomazia degli interessi” di Trump?

Certamente a livello geopolitico la situazione è molto complessa. Ucraina e Medio Oriente sono situazioni di crisi che destano ancora grande preoccupazione. Dal punto di vista macroeconomico, il mondo è in attesa di vedere come l’amministrazione Trump tradurrà le promesse elettorali in azioni concrete. Detto questo, mi auguro che l’Europa possa trovare uno stimolo di fronte alle minacce di tipo protezionistico e isolazionistico che arrivano dagli Usa: sarebbe l’occasione per dimostrare una forte capacità di iniziativa, una maggiore integrazione. Per fare questi passi in avanti è però necessario rimuovere il principio di unanimità, incoerente con la logica democratica, che nei fatti attribuisce diritti di veto.

I mercati ci raccontano di molte borse ai massimi e ancora in accelerazione proprio mentre la crescita rallenta. La finanza ormai non “dialoga” più con l’economia reale?

I mercati azionari sono andati molto bene in questi ultimi due anni, ma non ritengo sia avvenuto in maniera distaccata rispetto all’economia reale. L’andamento riflette le aspettative sugli utili delle imprese, che si sono evoluti in modo positivo, a eccezione di auto e lusso. Lo si vede anche nel nostro paese.

Il debito continua a correre, e ad allargare le distanze tra nord e sud del mondo, tra ricchi e poveri. Vede rischi concreti di sostenibilità finanziaria globale?

La crescita del debito ha riguardato tutti i settori macroeconomici – governi, imprese e famiglie – e questo deve essere giustamente fonte di preoccupazione. Anche la disuguaglianza è cresciuta, ma non in maniera uniforme: si è accentuata tra il Nord e il Sud del mondo, ma è diminuita tra Est ed Ovest. Non credo tuttavia che la sostenibilità sia a rischio, anche perché sta aumentando la sensibilità per il tema. Noi come Generali continuiamo a considerarlo un tema cruciale, nonostante i forti venti contrari: ad esempio, i nostri nuovi investimenti green hanno toccato i 3,4 miliardi, l’anno scorso, mentre i premi assicurativi che integrano componenti ESG hanno raggiunto i 20,8 miliardi di euro.

Per il 2025, anno giubilare, il Papa ha rilanciato l’appello alla remissione del debito.

È un tema molto delicato: il rischio concreto è che poi non ci sia più disponibilità di nuovo credito. Sarebbe invece importante prevedere condizioni favorevoli e piani di rientro a lungo termine, calibrati rispetto alle circostanze e con la supervisione e il supporto di istituzioni sovranazionali.

Ad esempio? Penso alla Banca mondiale, guidata da una persona straordinaria, che conosco bene, Aiay Banga. Ma il punto è trovare schemi che consentano di agire sulle cause che hanno generato il debito più che sul debito in quanto tale: il rischio, diversamente, è di ritrovarsi presto in condizioni anche peggiori di prima.

Infine Generali, dove sta per chiudere il suo primo triennio al vertice di Generali. Come sta il gruppo?

È in ottima salute. Nell’anno che si sta per chiudere raggiungeremo gli obiettivi che ci siamo posti più di tre anni fa, sia in termini economici sia di dividendi. Alcuni di questi siamo riusciti anche a superarli, nonostante un contesto globale complesso e difficilmente prevedibile. Ma al di là dei target, sono molto soddisfatto per come il gruppo è cresciuto in modo rilevante tramite acquisizioni accurate e mirate. Tra i principali player europei è quello cresciuto di più sia in valori relativi che assoluti. Il gruppo è solido e gode di un’elevata patrimonializzazione grazie a una squadra manageriale forte e coesa, che ho avuto il previlegio di conoscere in questi tre anni.

È disponibile a un altro mandato?

Sono stati tre anni molto impegnativi e pieni di grandi soddisfazioni, che mi hanno portato a conoscere la realtà di Generali in oltre 20 paesi, potendone apprezzare da vicino la grande qualità delle persone: per questo ho già comunicato al consiglio la mia disponibilità a un secondo mandato. Ho avuto la fortuna di guidare un board con personalità e professionalità di altissimo livello, abbiamo fatto un eccellente lavoro di squadra in questi anni.

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