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Il caffè è il nuovo olio extravergine d’oliva? La domanda se la pone il quotidiano brasiliano O Globo e a ragion veduta, dato che il Brasile è il primo produttore mondiale di caffè e che qui l’olio al supermercato viene consegnato solo alla cassa per evitare furti, essendo arrivato a costare l’equivalente di 10 euro al litro in un Paese dove il salario minimo è di 200 euro al mese. Tradotto: il cambiamento climatico non è uno scherzo, la siccità ha picchiato duro in Sudamerica e questo potrebbe determinare a partire da gennaio un aumento del costo della tazzina di caffè anche dall’altra parte dell’Atlantico, in Italia, notoriamente Paese di “caffeinomani” anche se le statistiche ufficiali dicono beviamo “solo” 4 tazzine al giorno in media a persona, in un mondo dove se ne bevono 3,1 miliardi ogni 24 ore. L’espresso però rimane un simbolo dell’italianità e soprattutto un irrinunciabile rito quotidiano che siamo abituati a pagare poco: un tempo costava la cifra simbolica di 1 euro, ma adesso la possibilità che questo valore venga raddoppiato a 2 euro nel 2025 è piuttosto concreta.
Questo perché a partire da gennaio le società di torrefazione brasiliane faranno scattare ulteriori e consistenti aumenti: già nel 2024 il prezzo del caffè è salito del 33%, ma tra qualche giorno dovrebbero scattare ulteriori rincari fino al 30%, dovuti all’impennata delle quotazioni alla Borsa di New York dei futures sulla produzione della materia prima nel biennio 2025-2026. Alcune società, come il colosso JDE Peet’s ma anche Tres Corações e Melitta, hanno già annunciato ufficialmente questi aumenti, tutti in doppia cifra, quindi non ci saranno sorprese: il caffè diventerà più caro, verosimilmente a partire dalla fine di marzo. L’allarme, del resto, è stato confermato da alcuni manager italiani del settore, come l’Ad di Illy Cristina Scocchia, che in occasione dell’ultimo Meeting di Rimini ha apertamente sdoganato la tazzina a 2 euro.
Un uomo al lavoro in una piantagione di caffè sudamericana - cc Pexels
Il perché è presto detto: clima, clima e ancora clima. Le condizioni meteorologiche avverse che hanno colpito in particolare Brasile e Vietnam, i primi due esportatori di caffè al mondo, hanno causato un picco nei prezzi dei chicchi grezzi, che a livello globale sono saliti dell'80% negli ultimi 12 mesi, e hanno condizionato in negativo le prospettive del raccolto nell’anno che sta per iniziare. I segnali per la verità c’erano già stati nel 2023, quando la produzione globale era cresciuta solo dello 0,1% e la domanda aveva superato l’offerta, portando gli stock ai minimi da 12 anni. L'anno scorso però il riscaldamento globale ha dato il colpo di grazia: in Brasile molte coltivazioni sono state messe in ginocchio da siccità e caldo record. La temperatura media annua ha superato i 25 gradi, mentre le piante di caffè necessitano di una temperatura media annua non superiore ai 23 gradi. Anzi, per la qualità “Robusta” l’ideale secondo una ricerca australiana pubblicata su Global Change Biology sarebbero 20,5 gradi. L’anomalia climatica in questa area del mondo è un serio problema: il Brasile non solo è di gran lunga il primo produttore globale di caffè – vi si coltiva un terzo del totale mondiale - e il primo esportatore col 26% (esporta in 152 Paesi), ma rappresenta un benchmark del mercato, tanto che il Washington Post in passato lo aveva definito «l’Arabia Saudita del caffè». E non è tutto. Considerando che il quarto fornitore al mondo è la Colombia, si arriva al dato per cui la metà del caffè di tutto il pianeta viene coltivato in Sudamerica. E per tutto il continente, non solo per il Brasile, il 2024 è stato un anno drammatico dal punto di vista ambientale, tra caldo torrido, incendi che hanno devastato una parte di foresta amazzonica pari alla superficie della Croazia e piogge torrenziali, a seconda dei periodi.
Per quanto tempo l’agricoltura sopporterà tutto questo e le materie prime alimentari potranno essere vendute a prezzi accessibili? È questa la grande domanda che si pongono economisti e scienziati, per tutelare non solo i consumatori ma anche gli oltre 12,5 milioni di lavoratori – contando solo quelli del caffè – di tutto il pianeta. Alcune soluzioni forse ci sarebbero: l’evoluzione genetica delle piante oppure l’opzione di coltivare ad altitudini maggiori per trovare temperature meno torride. Anzi, secondo la rivista scientifica Frontiers in Plant Science questa pratica potrebbe persino migliorare la qualità del caffè. Ma non è affatto scontato che si riescano a trovare territori adatti.