giovedì 2 gennaio 2025
Il piccolo potrebbe essere stato riposto quando era già privo di vita. Don Antonio Ruccia, parroco di San Giovanni Battista: «L'allarme non è scattato, sono sconvolto, per me è infanticidio»
La polizia scientifica sul luogo del ritrovamento

La polizia scientifica sul luogo del ritrovamento - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Il corpicino senza vita, raccolto in una tutina, era adagiato in una coperta celeste incapace di isolarlo dal freddo. Sarebbe stata proprio la bassa temperatura a uccidere il neonato ritrovato, verso le 9.30 di ieri, nella culla termica della parrocchia di San Giovanni Battista, nel quartiere Poggiofranco, a Bari. Chi lo ha lasciato non avrebbe chiuso la porta della stanza che custodisce la culla e questo non ha fatto scattare l’allarme che segnala la presenza di un corpo. «Il mio cellulare collegato alla culla non ha squillato», ha fatto sapere il parroco, don Antonio Ruccia. Il mancato allarme fa supporre anche che il piccolino, che era vestito, sia stato sistemato all’interno della culla quando era già morto.

Il piccolo, di sesso maschile e dalla pelle bianca, avrebbe quasi un mese di vita. A ritrovarlo è stato il titolare di un’agenzia di pompe funebri, Roberto Savarese, che era arrivato nella chiesa per la celebrazione di un funerale e che voleva mostrare la culla termica ad un collaboratore. È stato lui a dare l’allarme alla polizia che ha inviato sul posto le Volanti e la Scientifica della questura. Gli agenti hanno effettuato i primi rilievi, ma sul caso ora indagano i colleghi della squadra Mobile. Al vaglio degli investigatori ci sono i filmati delle telecamere della zona. Sul posto sono intervenuti anche il procuratore aggiunto Ciro Angelillis - che ha aperto un fascicolo d’inchiesta contro ignoti per abbandono di minore con l’aggravante della conseguente morte - e il professor Biagio Solarino dell’Istituto di medicina legale del Policlinico universitario di Bari. Non si esclude che sul corpo del neonato possa essere disposta l’autopsia.

«L’ho preso in braccio, vederlo in quella tutina a fantasia militare, immobile, mi ha fatto tanto dispiacere. Non ho avuto paura ma ho provato tanto, tanto dispiacere», racconta Savarese. Il piccolo «non ha più di un mese di vita e quando ho aperto quella porta mi ha colpito che fosse coperto da un cappuccio e che non si muovesse: ho capito subito cos’era successo», spiega l’uomo. La sede della sua agenzia è proprio alle spalle della chiesa «e io ricordo tutti i passi compiuti per realizzare la culla e il vano a sua protezione: è stata una cosa bellissima».

Ieri, dopo aver sistemato un feretro nella parrocchia mentre era in corso il funerale, stava riferendo del progetto che salva i neonati ai suoi collaboratori. «Uno di loro ne aveva sentito parlare ma non aveva mai visto la culla – dice – e così gliel'ho mostrata. Ho aperto la porta e non riuscivo a credere ai miei occhi: c'era un neonato morto. Nulla accanto a lui: non un ciuccio, un biberon, un cambio, un biglietto. Ho chiamato il 118 e da lì sono scattati soccorsi e indagini». Secondo l’uomo, il bambino «ha trascorso nella culla termica le ultime 24-48 ore ma non comprendo come mai non abbia funzionato il sistema di riscaldamento né perché non sia scattato l’allarme che avrebbe dovuto segnalare la sua presenza. Non posso dimenticare la gioia provata due anni fa, quando fu lasciata una bimba: era bellissima e sono felice abbia una famiglia. Oggi, invece, questo neonato senza vita fa tanta tristezza».

Duro il commento di don Ruccia: «Qualcuno ha “giocato” con la vita di un bambino. Secondo me era già morto: se fosse stato vivo, la porta non sarebbe stata lasciata aperta, sarebbe stata richiusa e sarebbe scattata subito la notifica. Probabilmente la mamma del piccolo avrà voluto garantire il funerale del bambino. È un infanticidio, sono sconvolto – ha quindi dichiarato il parroco –, non immaginavo potesse cominciare in maniera così dolorosa questo nuovo anno: tra le guerre nel mondo e quanto accaduto oggi, sotto i nostri occhi, sembra di assistere ad una “strage di innocenti”». Paradossalmente, ha concluso, «questa è la dimostrazione che la culla termica della nostra chiesa serve».

In Italia oggi ci sono 64 culle attive. Un’evoluzione delle “ruote” presenti, un tempo, nei conventi, dove venivano lasciati i neonati perché le loro mamme non potevano prendersene cura. Le culle sono di fatto una mano tesa per le mamme che - nonostante solitudine, miseria, disperazione - dalla culla ricevono serenità perché sanno che il proprio figlio sarà comunque accudito e amato. È un luogo sicuro per il bambino che, appena deposto, grazie al collegamento h24 con la struttura di afferenza, viene subito soccorso e preso in carico.

Il sindaco: «Una vicenda che tocca il cuore»

«Una tragedia come questa ci sconvolge e ci addolora tutti, com’è inevitabile che sia. Ma non è questo il momento di esprimere giudizi affrettati sulle ragioni o le responsabilità di quanto accaduto. Sarà la magistratura a fare chiarezza. Quel che è certo è che si tratta di una vicenda che tocca il cuore di una comunità intera che, come accaduto in passato, si sarebbe mobilitata per accogliere e prendersi cura del futuro di questo bambino». Così il sindaco di Bari, Vito Leccese, ha commentato il ritrovamento del neonato nella culla del quartiere Poggiofranco.

«La drammatica vicenda di oggi ci ripropone il tema della responsabilità genitoriale, ormai fondamentale per affrontare in maniera adeguata la maternità e la paternità – ha invece detto il Garante regionale dei diritti del minore, Ludovico Abbaticchio –. Rimane un ritardo istituzionale forte nel mondo giovanile, a partire dalle scuole e poi ai genitori stessi, su cosa significa affrontare una gravidanza e, quindi, mettere al mondo una creatura. Occorre una politica con livelli istituzionali dedicati a questo tema». La “ricetta” sarebbe quella di una «realizzazione o il rafforzamento dei centri territoriali che offrono assistenza ai minorenni e ai genitori, attraverso équipe multidisciplinari formate da medici, psicologi, assistenti sociali, educatori e dalle istituzioni regionali, in collaborazione con scuole e associazioni per affrontare queste sfide attraverso progetti educativi e preventivi», ha concluso.
Ad ottobre scorso la Fondazione Cesvi aveva posizionato la Puglia al terzultimo posto (seguita da Campania e Sicilia) nell’Indice regionale sul maltrattamento e la cura all’infanzia in Italia: pur risultando tra le realtà italiane in cui i minori sono sottoposti a maggiori rischi, è contemporaneamente una delle regioni dove sono evidenti gli sforzi in termini di creazioni di reti interistituzionali che mettono in collegamento i servizi di protezione e tutela per migliorane l’efficacia per prevenire e contrastare il fenomeno del maltrattamento sui minori.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: