sabato 28 dicembre 2024
Dal 1° gennaio scadono i contratti e si interromperanno le forniture dirette all'Europa. L'Italia e gran parte dell'Ue sono al sicuro (Slovacchia e Austria meno). La grossa incognita sono i prezzi
Un addetto di Gazprom al lavoro nella stazione di Suzha, in un territorio da 4 mesi sotto il controllo delle truppe ucraine

Un addetto di Gazprom al lavoro nella stazione di Suzha, in un territorio da 4 mesi sotto il controllo delle truppe ucraine - Ansa

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Gli accordi per il trasporto di gas russo in Europa attraverso l’Ucraina erano uno dei pochissimi concreti casi di collaborazione tra Mosca e Kiev che avevano resistito alla guerra. Nonostante il conflitto, ogni giorno anche quest’anno circa 40 milioni di metri cubi di gas naturale proveniente dai giacimenti siberiani sono stati pompati nella rete ucraina dalla stazione della città russa di Sudzha (da quattro mesi sotto il controllo delle truppe ucraine), per essere poi distribuiti tra Slovacchia, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Italia, con una discreta quantità di metano che veniva poi rivenduta alla stessa Ucraina. Queste forniture termineranno con la fine del 2024: il 31 dicembre scadono gli accordi trilaterali firmati a dicembre 2019 dai governi di Russia e Ucraina e dalla Commissione europea, concretizzati in contratti tra le compagnie ucraine Naftogaz e Tso e la russa Gazprom. Rinnovarli sembra impossibile. Né Kiev né Bruxelles sono intenzionati a firmare il rinnovo dell’intesa. «Hanno annunciato che non rinnoveranno il contratto – ha confermato il presidente russo Vladimir Putin in un discorso televisivo mercoledì scorso –. Ora non c’è un contratto ed è impossibile firmarne uno entro tre o quattro giorni».

Non si pone un problema immediato: gli stoccaggi europei sono pieni oltre il 74% (e oltre l’80% in Italia), c’è gas a sufficienza per l’inverno. Per alcuni Paesi la fine dell’importazione di metano russo è tutto sommato gestibile, come sottolinea un’ampia analisi pubblicata a inizio dicembre dall’Oxford Institute for Energy Studies, un centro studi britannico. L’Italia, per esempio, ha ridotto al minimo gli acquisti di gas dal punto di ingresso di Tarvisio, quello da cui arrivano le forniture russe, e in questi anni ha diversificato le forniture grazie ai quattro rigassificatori installati sulle coste tra Veneto, Toscana e Liguria, oltre ad avere aumentato gli acquisti tramite gasdotti dal Nordafrica. È abbastanza al sicuro anche l’Ungheria, che non avendo affacci sul mare non può dotarsi di rigassificatori: Budapest continua ad essere un grande acquirente di gas russo che importa tramite il gasdotto Turkstream, che attraversa la Turchia e passa da Grecia, Bulgaria e Serbia. È più problematica la situazione della Repubblica Ceca, che come alternativa al gas russo importato tramite la rete ucraina contava di utilizzare il gas russo che doveva entrare in Europa con Nord Stream: ma quella condotta è stata fatta saltare e ora Praga sta intensificando gli acquisti di metano nordeuropeo, importandolo comunque dalla Germania.

Sono invece in una posizione di debolezza l’Austria e la Slovacchia che tuttora ricevono dalla Russia, tramite le condotte ucraine, rispettivamente il 60% e il 70% delle forniture.

Domenica scorsa il primo ministro slovacco Robert Fico è andato a incontrare Putin a Mosca proprio per discutere anche di strade alternative per l’acquisto di gas russo. È stata la terza visita di un capo di governo europeo a Mosca dopo l’invasione del 2022: prima di Fico ci erano andati il cancelliere austriaco Karl Nehammer, nell’aprile del 2022, e l’unghere Viktor Orban, lo scorso luglio. Fico, che dalla sua elezione nel 2023 ha interrotto gli aiuti militari all’Ucraina, ha riferito che Putin gli ha confermato la disponibilità a fornire agli slovacchi gas russo, ma farlo è «praticamente impossibile». Per questo la Slovacchia è tra i Paesi che più spingono in Europa per arrivare a una soluzione. Anche l’Austria ha lo stesso obiettivo, ma tiene un profilo più basso e si è organizzata nei mesi scorsi, firmando una serie di contratti per nuove forniture con la britannica Bp, la norvegese Equinor e la texana Cheniere.

Tra le “vittime” della fine del passaggio del gas russo dall’Ucraina c’è l’Ucraina stessa. Il Paese invaso è destinato a perdere il ruolo di hub del gas russo in Europa. Il trasporto del metano siberiano era l’attività principale di Tso, la società della rete del gas ucraino: privata di questo compito, l’azienda dovrà dismettere gran parte della rete e le occorrerà trovare un complicato equilibrio tra la riduzione dell’attività e la continuità del servizio per la popolazione ucraina.

Per tutti c’è infine il problema di prezzo. Il gas naturale liquefatto è più caro di quello trasportato tramite gasdotti. Meno legato a contratti a lungo termine, il mercato del gas naturale liquefatto è più instabile e soggetto a improvvise variazioni.

Gli effetti concreti di questo passaggio sono già visibili: nonostante sia rientrata dopo l’estate pazza del 2023, la quotazione dei contratti future del Ttf olandese, il prezzo di riferimento per il mercato del gas europeo, si mantiene molto sopra le quotazioni pre invasione: si aggirava tra i 20 e i 25 euro per Mwh, si è stabilizzata sopra i 30 e negli ultimi giorni, per effetto dei timori sull’effetto reale della chiusura del transito dall’Ucraina, il Ttf è risalito sopra i 45 euro per Mwh, vicino ai massimi dell’anno, toccati a fine novembre.



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