Pensionati in attesa in un ufficio Inps - Ansa
Per l’ultimo miglio della manovra è già tutto predisposto. Approvata venerdì scorso dall'aula della Camera, la legge di Bilancio da circa 30 miliardi è adesso al Senato. Oggi, venerdì 27, alle 11 la commissione Bilancio di Palazzo Madama tornerà a riunirsi per licenziare il testo. Il provvedimento è poi atteso dall'assemblea già per le ore 14 e l'approvazione definitiva dovrebbe arrivare a seguito di un nuovo voto di fiducia entro sabato 28. Sono oltre 800 gli emendamenti delle opposizioni, ma difficilmente ci sarà il tempo per esaminarli.
Una manovra che tocca anche il capitolo pensioni, ma senza incidere più di tanto. Per la prima volta, infatti, la previdenza obbligatoria e quella complementare si “parlano” per consentire ai lavoratori di poter lasciare il lavoro a partire dai 64 anni, senza dover attendere i 67 e oltre, come previsto ora per l’età “di vecchiaia”. Una facoltà riservata soprattutto (ma non solo) ai nati negli anni Settanta: infatti solo chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 potrà utilizzare la rendita di un eventuale fondo o assicurazione complementare per raggiungere l’importo minimo del trattamento, che però - primo paletto - dovrà essere pari a tre volte l’assegno sociale (con sconti per le lavoratrici con figli), il che vuol dire circa 1.720 euro. Cresce poi - secondo paletto - il numero dei contributi richiesti: dal 2025 passa dagli attuali 20 a 25 anni, e poi dal 2030 aumenterà ancora a 30 anni. Ma già il primo paletto rappresenta una strettoia forte: è stato calcolato che si dovrà versare alla previdenza integrativa, a seconda dei casi, da un minimo di 209 euro al mese a un massimo di ben 1.129 euro per poter agganciare questa finestra di uscita anticipata. Quelli delle decadi successive (i cosiddetti “Millennials”) avranno qualche chance in più, a condizione però di destinare sin dall’assunzione tutto il Tfr ai fondi privati.
È da tempo che la Lega punta sullo sviluppo della previdenza complementare in Italia: tant’è che l’obiettivo era quello di far inserire in manovra o l’obbligatorietà del trasferimento parziale del 25% del Tfr ai fondi pensione o il cosiddetto “silenzio-assenso”, sempre sulla destinazione delle liquidazioni ai fondi. Rinviato il progetto al riassetto complessivo, il Carroccio è riuscito a far passare nella manovra questa soluzione innovativa.
L’uscita anticipata a 64 anni era già prevista, ma il paletto era fissato l’anno scorso a 2,8 volte l’assegno sociale (con almeno 20 anni di contributi) e ora viene incrementato. A conti fatti, si tratta di condizioni (soprattutto quella relativa ai contributi) difficili da raggiungere, tanto più per chi ha carriere discontinue e bassi salari, con il risultato che non si potrà lasciare il lavoro prima dei 70 anni. Insomma, c’è molto sapore di propaganda. Tant’è che la stessa relazione tecnica della Ragioneria dello Stato ha precisato che la norma riguarderà, in questo primo anno, appena un centinaio di persone. Per crescere gradualmente a circa 600 unità annue alla fine del decennio. Sarà insomma una procedura riservata a pochi eletti, lavoratori ben retribuiti e con carriere continue, due condizioni oggi difficili da cumulare per la maggior parte delle persone. Solo per le donne il parametro riferito all’assegno sociale è ridotto a 2,8 volte per chi ha un figlio e a 2,6 volte per quelle con due o più figli (nel 2024 rispettivamente pari a 1.496,35 euro e 1.389,36 euro). Ma va puntualizzato che per chi continuerà a non utilizzare la previdenza integrativa, l’accesso all’anticipo rimarrà quello di prima, con 64 anni e 20 di contributi. Peraltro va considerato che dal 2030, quando la misura potrebbe cominciare a interessare un maggior numero d’italiani, non è detto che l’uscita anticipata resti a 64 anni (potrebbe salire, in base alle aspettative di vita) e lo stesso aggancio all’assegno sociale verrà rivalutato in base all’inflazione.
Un’altra novità di rilievo presente in manovra riguarda la pubblica amministrazione e, per paradosso, va in controtendenza rispetto alla “legge Fornero” che la Lega a parole continua a voler abolire. I dipendenti pubblici con maggiore esperienza potranno trattenersi al lavoro fino a 70 anni su base volontaria (opzione finora consentita ai soli medici); questo anche on l’obiettivo di assumere 350mila giovani entro l’anno prossimo, in una doppia sfida lanciata da Paolo Zangrillo, ministro della Pa.
Viene riproposta poi “Quota 103” per l’uscita anticipata, nonostante l’utilizzo limitato della misura riscontrato finora. Durante le audizioni sulla legge di Bilancio in Parlamento, l’Inps ha reso noto che rispetto alle 50mila domande attese, finora ne sono arrivate appena 1.600, vista la sostanziale “scarsa convenienza” della misura. I requisiti per aderire sono: 62 anni di età con 41 di contributi da maturare nel corso del 2025. Mentre le lavoratrici con almeno 35 anni di contributi e 61 di età (60 per chi ha un figlio, 59 con due) potranno scegliere l’anticipo pensionistico riservato a disoccupate, dipendenti che lavorano in aziende per cui sono aperti tavoli di crisi e caregiver. Chiude il quadro delle misure previdenziali la beffa delle pensioni minime: il loro aumento, annunciato in tre euro al mese, è stato poi ridotto ad appena 1,8 euro dal decreto ministerrale che ha reso operativa la norma. Poco più di un caffè al bar.
La posizione di partiti e sindacati
«Nessuno crede all'inganno della Lega, che anzi si rende sempre più ridicola sul tema delle pensioni: dopo aver gridato contro la legge Fornero ora non sanno fare altro che ribadire la legge Fornero, spacciando come conquiste e le nuove regole. In realtà, la norma che consente il pensionamento a 64 anni di età valorizzando i contributi integrativi, secondo la stessa relazione tecnica la legge di Bilancio, produrrà effetti zero nel 2025 mentre si stima che circa 600 persone potranno utilizzarla nel 2034. Persone che anticiperanno il pensionamento in media di un solo anno», ha detto il capogruppo di Avs in Commissione Lavoro della Camera Franco Mari.
Sulle pensioni «non solo non hanno cambiato la legge Fornero, l'hanno peggiorata» e «continuano a fare cassa sulla pelle delle persone». Così il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, attaccando le scelte del governo. «Bisogna garantire un sistema pensionistico degno di questo nome, a partire dai giovani precari», rimarca Landini, rilanciando tra l'altro la richiesta di «introdurre una pensione di garanzia» per i giovani; invece «senza dirlo stanno allungando l'età pensionabile».
«Più che una svolta, vedo una sconfessione aperta del vicepremier Salvini». A dirlo è l'ex ministra del Lavoro Elsa Fornero. «Prima voleva abolire la mia legge - aggiunge -. Poi prometteva Quota 41. Alla fine presenta come una grande riforma la flessibilità che esiste già, introdotta da Dini nel 1995 e accelerata da noi nel 2011. Anzi fa peggio dell'esistente. Privilegiando maschi di età matura, come con Quota 100. E lasciando fuori i più deboli: donne e giovani. Questo governo ha scarse competenze previdenziali, a partire dal vicepremier. Il ministro Giorgetti è particolarmente preoccupato della sostenibilità dei conti pubblici e degli impegni presi in Europa. Si spiega così l'inasprimento dei requisiti. Io avevo alzato la finestra di flessibilità dai 63 anni di Dini a 64 anni con 20 di contributi. Ora ne serviranno 25 dall'anno prossimo e 30 anni dal 2030».
«Non accettiamo lezioni dalla professoressa Fornero, che con un pianto ci ha tolto sette anni di pensioni - conclude Claudio Durigon, sottosegretario al ministero del Lavoro -. Dare la possibilità di un'uscita anticipata ai lavoratori rappresenta un cambio culturale significativo con il fine di dare un maggiore sostegno ai giovani. Un secondo intervento che avremmo voluto inserire riguarda il meccanismo del silenzio assenso. Non siamo riusciti a inserirlo per motivi legati alle coperture economiche ma ci lavoreremo ancora di più, stiamo andando nella giusta direzione. In questa manovra finanziaria è stato messo al centro il tema della previdenza complementare, uno strumento necessario per dare una visione pensionistica adeguata al futuro dei giovani e non solo. È fondamentale, infatti, tenere conto del fatto che dal '96 il sistema contributivo è prevalente e avremo pensioni più povere. In tal senso, abbiamo inserito in legge di Bilancio una norma in forza della quale la previdenza integrativa potrà contribuire alla flessibilità in uscita attraverso un cumulo con il primo pilastro».