Le qualità dei genitori possono essere apprezzate anche sul luogo di lavoro - Archivio
«Consentire ai papà che lavorano di esercitare appieno il diritto e il dovere di genitori è un potente acceleratore, un allenatore di competenze utilissime in azienda». Lo afferma Riccarda Zezza, ceo e cofondatore di Lifeed, società di education technology, basandosi su'analisi dell’Osservatorio Vita-Lavoro di Lifeed. Purtroppo è ancora alta la percentuale di papà che non si considerano “visti” sul posto di lavoro.
Per il 57% dei padri, infatti, il ruolo di genitore non è visibile in azienda. Nel 59% dei casi, a ostacolare il riconoscimento del ruolo di padre in ambito professionale è una cultura aziendale che tende a mantenere separata vita privata e lavoro. Più di un papà su due (il 54%) nell’ultimo anno si è sentito nelle condizioni di dover scegliere tra vita privata e professionale. Tra gli ostacoli emersi il 24% riguarda una scarsa attenzione ai ruoli extra lavorativi della persona (e al work life balance) da parte dell’azienda. Nel 20% dei casi, i lavoratori in aziende di diversi settori e dimensioni (padri tra i 29 e i 58 anni) indicano tra gli ostacoli della paternità sul lavoro la propria capacità di esprimersi nel ruolo di genitore in azienda, legata a stereotipi personali. Sono i papà stessi, in questo caso, a percepirsi come lavoratori esclusivamente in ufficio e papà solo quando sono in famiglia, come se i due ruoli potessero essere nettamente separati.
Che cosa, secondo i padri stessi, potrebbe accendere anche sul luogo di lavoro il potenziale della loro paternità? Tra le soluzioni raccolte, il 36% riguarda una cultura aziendale “caring”. Una cultura che mostra attenzione al work-life balance e ai ruoli extra lavorativi delle persone farebbe sentire i padri “riconosciuti” anche sul lavoro. Nel 33% dei casi, serve un clima di condivisione, supporto reciproco, apertura al dialogo tra colleghi, manager e collaboratori sul tema della paternità. Nel 19% dei casi emerge l’utilità di iniziative ad hoc dedicate ai genitori e supportate dall’azienda (per esempio bonus, regalo, congedi extra, flessibilità eccetera). Nel 12% dei casi, è un tema di autodeterminazione e spinta individuale: serve la volontà da parte dei singoli di condividere la propria esperienza di papà.
Quando la paternità è riconosciuta e valorizzata anche sul lavoro, i padri si sentono liberi di mostrare in azienda ciò che sono e ciò che hanno imparato grazie a questa esperienza: l’83% dei papà scopre più delle mamme (78%) un modo diverso di mettere insieme vita privata e vita lavorativa; il 71% si sente più capace di usare le competenze allenate con la paternità anche sul lavoro: come l’ascolto (81%), l’empatia e la comunicazione (76%), la collaborazione (72%) e le competenze di gestione del cambiamento (80%).
«Gli uomini delle nuove generazioni non percepiscono più il ruolo lavorativo come preponderante nella loro vita: si sentono infatti prima padri (71%) e solo dopo professionisti (42%) - conclude Zezza -. Questo cambiamento è già intorno a noi, permea la società. Riconoscere queste mutazioni sociali e rappresentarle non è solo utile per migliorare la qualità del nostro lavoro, ma è indispensabile anche per una maggiore integrazione delle donne- sulle cui spalle ricade il maggior peso di cura familiare- nella vita economica e civile del Paese. La strada verso il diritto alla parità nell’esercizio della genitorialità sembra ancora drammaticamente lunga, ma il cambiamento è in atto e le imprese che sapranno spingerlo ne trarranno solo benefici».