Povero Sud. E povera Italia. L’Istat conferma che le famiglie del Mezzogiorno arrancano sempre di più. Non solo: soffrono, senza distinzione geografica, i nuclei numerosi, specie se hanno minori a carico. Forte disagio avvolge anche i giovani, i disoccupati e i lavoratori autonomi. E continua a incidere sull’indigenza la presenza di anziani in casa.La statistica si limita a registrare la «sostanziale stabilità» dei dati negli ultimi anni. Ma dietro le percentuali ci sono le persone. E allora, se i "poveri relativi" (ovvero quelli che hanno una spesa media mensile inferiore ad una soglia limite fissata dall’Istat) crescono dello 0,2 per cento, passando all’11,3 per cento della popolazione, vuol dire che nel 2008 ci sono state quasi 90mila famiglie in più che hanno tirato la cinghia. In totale soffrono due milioni e 800mila nuclei, ovvero oltre otto milioni di "individui". A loro occorre aggiungere un altro otto per cento di casi limite, di situazioni, cioè, dove basterebbe una spesa fuori posto per piombare in basso. Riferendosi poi alla ancora più grave "povertà assoluta", cioè ai nuclei che non hanno i soldi per comprare il paniere essenziale di beni ai prezzi del loro territorio, si registra un aumento di mezzo punto rispetto al 2007. Sarebbe a dire: sono "davvero povere" oltre 1 milione e centomila famiglie, quasi tre milioni di persone, in pratica un italiano ogni venti.Questione-Sud. Nei dati sulla povertà relativa (misurata su una spesa standard, per due persone, di 996,67 euro mensili) il Meridione registra un aumento superiore al punto percentuale. Considerando che il Nord ha una flessione dello 0,6 per cento, e il Centro un lieve aumento, si può dire che il peggioramento nazionale dipende da come si vive da Roma in giù. Per essere più chiari, la condizione di difficoltà riguarda, nel Mezzogiorno, quasi il 24 per cento dei nuclei, uno su quattro. Mentre la media nel Settentrione è del 4,9 per cento, e nel cuore del Paese del 6,7. Una forbice abissale. Di conseguenza, nella classifica delle regioni le ultime sono Sicilia e Basilicata, che sfiorano il 30 per cento di "poveri relativi". Seguono Campania e Calabria. Preoccupa la situazione del Molise, che in un anno è passato dal 13,6 al 24,4 per cento di nuclei in difficoltà. Di contro, le prime della classe sono tutte del Nord. In testa l’Emilia Romagna con sole tre famiglie su cento in crisi (tra l’altro in forte diminuzione), davanti a Veneto (dove però il trend non è positivo) e Lombardia. La forbice è alta anche per la povertà assoluta. Non si può permettere il minimo per una vita dignitosa il 3,2 per cento del Nord (in diminuzione), poco meno al Centro (dato stabile) e ben il 7,8 per cento del Sud (aumento di due punti rispetto al 2007).Il secondo punto centrale è la difficoltà delle famiglie numerose. È povero in assoluto il 9,4 per cento di quelle con più di cinque componenti, ma l’aumento più forte colpisce i nuclei con quattro persone (più 1,8 per cento). Cresce in particolare il disagio delle coppie con due figli, che sono in miseria in un caso su venti. L’aggravante, per tutti, è avere in casa dei minori: si impoveriscono anche i nidi con un solo under18 a carico. Chi ha con sé un anziano stenta (quasi il 6 per cento dei nuclei è indigente), mentre gli over65, se da soli, reggono meglio l’urto. E non si deve sentire affatto al sicuro, avverte l’Istat, chi porta avanti la baracca con un impiego autonomo. Altra fonte di preoccupazione è il lavoro: se c’è una persona in cerca di occupazione, specie il capofamiglia, la povertà relativa e quella assoluta salgono oltre l’11 per cento. Infine, la fragilità degli under45: il cinque per cento non ce la fa.