Non sono i dottor Tyrell di
Blade Runner, ma i bioingegneri rappresentano una delle nuove professioni, impensabili 20 anni fa. Sono la fantascienza che si è fatta presente. O meglio costituiscono l’evoluzione di quella parte delle scienze che permette di migliorare la diagnosi e la cura delle malattie. Niente a che vedere quindi con la Tyrell corporation e la sua "produzione" di discutibili replicanti umani. Non sono solo scienziati, non lavorano solo in laboratori. In Italia sono occupati soprattutto nelle industrie che producono e vendono apparecchiature e strumenti medicali. Alcune Regioni hanno introdotto ufficialmente questa figura negli ospedali. Per fare ricerca è necessario trasferirsi all’estero. Nel nostro Paese, secondo le stime dell’Associazione nazionale di bioingegneria, operano 1.500 bioingegneri.Per prepararsi a questa attività si deve seguire un percorso di laurea triennale a cui si può aggiungere quella magistrale. A 12 mesi dalla fine del corso di studi il placement si attesta a oltre il 70%. I dati si riferiscono al Politecnico di Torino. «L’andamento è questo anche per gli altri atenei che offrono questa formazione – considera
Franco Maria Montevecchi, coordinatore del dottorato in Ingegneria biomedica. Si tratta di personale molto richiesto. I bioingegneri che si formano in Italia sono molto ricercati per via della preparazione vasta e approfondita». «Diagnosi precoci e precise, terapie meno invasive e più mirate, nuove tecnologie di riabilitazione, strumentazioni per la medicina a distanza, sono queste le esigenze della medicina per salvare più vite umane, ma è anche un discorso di miglioramento della qualità della vita che si ripercuote in maniera positiva sui conti economici del sistema sanitario», aggiunge Montevecchi. La Regione Piemonte ha investito nel comparto della bioingegneria: il biopark industriale del Canavese coinvolge i tre atenei piemontesi e una serie di realtà produttive. In Piemonte è ancora stridente il ricordo dello scandalo delle valvole cardiache fallate, ma acquistate comunque e utilizzate proprio a Torino.Forse non sarebbe successo se ci fosse stato un bioingegnere, ossia una persona capace di prendere in considerazione gli aspetti tecnici delle strumentazioni, degli apparecchi, delle protesi. In grado di seguire tutta la filiera dall’acquisto al loro utilizzo e manutenzione. Le legislazioni di alcune Regioni prevedono questo profilo nell’organigramma delle strutture ospedaliere e quindi bandiscono concorsi per posti per titolo e esami. Le donne bioingegneri sono il 40%.«È uno studio che coniuga il rigore dell’ingegneria con la complessità della medicina – spiega
Gianna Maria Toffolo, presidente del corso di laurea in Ingegneria biomedica dell’università di Padova –. La medicina pone degli obiettivi, solleva dei quesiti e l’ingegneria è chiamata a indicare strade e dare soluzioni. In questo lavoro di analisi e sintesi le donne stanno emergendo, grazie alle doti innate di problem solving». Parola d’ordine interdisciplinarietà. «La si incontra nello studio e la si trova sul lavoro – conclude la Toffolo –. Il bioingegnere opera infatti insieme ad altri professionisti di settori diversi. Il suo è spesso un lavoro d’equipe dove sono richieste ottime capacità relazionali e di mediazione». La risonanza magnetica, il peacemaker, i programmi informatici che permettono agli immobilizzati di comunicare con il movimento degli occhi, il defibrillatore, sono alcune delle strumentazioni ideate e sviluppate dagli ingegneri della biomedica. «Per fare queste cose servono i modelli matematici dell’Ingegneria applicati alla fisiologia umana. Il campo è vasto e lo studio inesauribile. Si sfiorano, però, problemi etici – sottolinea
Sergio Cerutti, presidente del corso di laurea in Ingegneria biomedica al Politecnico di Milano – . Per questo nell’ambito dell’Ordine degli ingegneri c’è la commissione di bioingegneria, che può esprimere pareri su questioni che però vanno dibattute in sede rappresentativa». Il Politecnico di Milano mette a disposizione dei laureandi un career day anche nell’Ingegneria biomedica dove i laureandi incontrano le aziende. A un anno dalla laurea magistrale risulta che l’80% dei laureati lavora in un settore aderente con gli studi. Il 30% lavora nelle aziende che producono dispositivi come product specialist, un altro 30% è diventato ingegnere clinico e presiede alla gestione e manutenzione delle apparecchiature negli ospedali, l’altro 30% nel campo della ricerca con dottorati nelle università italiane, al Cnr e in aziende, soprattutto all’estero. I bioingegneri che si laureano in Italia, comunque, sono apprezzati all’estero per la loro preparazione. Ma non per l’esperienza pratica. In Italia il bioingegnere spesso ricopre ruoli nel settore commerciale. «Sono le due questioni aperte con cui, prima o poi chi entra in questo settore, deve fare i conti» – precisa
Federico Cesari, socio fondatore dell’Associazione italiana di bioingegneria –. Ci si laurea senza avere mai visto in università anche i più semplici strumenti biomedicali. Parlo di un semplice ecografo. Sappiamo tutto del suo funzionamento, delle sue potenzialità diagnostiche, ma in tutti gli anni di università non lo si è mai visto a lezione. L’università italiana è ancora troppo teorica».Un consiglio per superare questa situazione? «Difficile da dare – continua Cesari –. Le apparecchiature e le strumentazioni si trovano solo in strutture sanitarie. Al bioingegnere può esser offerto un ruolo di supporto all’area commerciale. Si tratta di un profilo lavorativo che affianca chi vende le apparecchiature e che interviene per spiegarne l’utilizzo, la gestione, la manutenzione». Studiare nuove ingegnerie per migliorare la salute è una chimera? «No. Ci sono realtà industriali anche in Italia che fanno ricerca o che producono strumentazioni. Ma sono poche. Quindi non si può puntare tutto su quelle – risponde il socio fondatore dell’Associazione italiana bioingegneri –. In Italia il bioingegnere si sta facendo strada. Importanti sono i distretti industriali di Saluggia, nel Vercellese, e di Mirandola, nel Modenese. Certe Regioni hanno introdotto la figura nell’organigramma degli ospedali e bandiscono concorsi per l’assunzione. Questo settore è fra quelli in cui il percorso triennale di studi riesce a formare un ottimo tecnico. Al biennio successivo si può iscrivere che può approfondire e chi può dedicarsi alla ricerca».L’associazione, attiva dal 2004 e che oggi conta 450 soci, si propone come ponte fra il mondo universitario e in particolare fra i neo bioingegneri e il mercato del lavoro. Tuttavia Cesari precisa: «Non siamo un sindacato né tanto meno un ufficio di collocamento. Diamo informazioni, organizziamo conferenze e corsi per chi vuole continuare la propria formazione».