Lavoro in remoto - Toniolo/via Reuters
Dopo la grande abbuffata del lockdown, tra riunioni in videoconferenza e call fra colleghi, e al termine di questa fase di summer working dove può capitare che le ore di vacanza e quelle di lavoro si confondano, con l’autunno inizierà la stagione decisiva per capire che ne sarà del lavoro agile in Italia.
In attesa che arrivi una regolamentazione nazionale – per cui ci vorrà necessariamente tempo visti i tanti nodi da affrontare anche nel confronto con le parti sociali – i grandi gruppi italiani si stanno organizzando per affrontare il rientro a regime del personale dopo l’estate. La tendenza generale che emerge è quella di andare avanti con lo smart working anche in epoca post Coronavirus, ma a piccole dosi e con un graduale rientro in ufficio del personale. Il futuro del lavoro, insomma, non sarà solo da remoto.
In particolare Tim è il primo colosso nazionale ad aver già riorganizzato il lavoro con un orizzonte di lungo respiro che va ben oltre il termine dello stato d’emergenza. Nei giorni scorsi infatti la società delle Tlc ha prolungato fino a fine ottobre le misure Covid ma soprattutto ha sottoscritto un’intesa volontaria con i sindacati per avviare una sperimentazione fino al 2021 di una riorganizzazione del lavoro per i dipendenti con 2 giorni alla settimana di smart working e un pacchetto individuale di altri 12 giorni che permetterebbe al personale di lavorare due giorni in ufficio e tre da casa. L’organizzazione si basa dunque sul "desk sharing", un modello della prestazione caratterizzato dall’alternanza tra il lavoro in sede e il lavoro agile che viene già adottato in tante aziende americane.
Tra i diritti per il telelavoratore di Tim rientrerebbe anche quello alla disconnessione. È programmata la formazione continua con corsi di gruppo in aule virtuali, saranno fornite dotazioni informatiche individuali e sono previste iniziative di inclusione al fine di evitare il possibile isolamento sociale.
Buono pasto garantito anche a chi è in smart working e fornitura di eventuali modem in caso di necessità di connessione stabile nonché l’impegno a individuare convenzioni per possibili riduzioni dei costi di energia. In caso di specifiche condizioni di carattere “sociale” (gravidanza, maternità-parternità, gravi disabilità motorie) c’è la possibilità di estendere i periodi di lavoro agile.
Trattandosi di un accordo sperimentale, nei prossimi mesi potranno essere apportati dei correttivi, ma la formula scelta da Tim potrebbe ispirare anche altre grandi società italiane sulla strada da seguire.
Intesa Sanpaolo, per esempio, che è tra i primi datori di lavoro in Italia con circa 90mila dipendenti (di cui 66mila in Italia e 23mila nel resto del mondo) pur in assenza di un accordo interno dopo la fine dell’estate intende proseguire con lo smart working ma in modo meno numeroso rispetto ai mesi scorsi.
«Dal 7 settembre è previsto un rientro più numeroso di tutti i colleghi in sede – informano da Intesa –, garantendo comunque la sicurezza personale con i distanziamenti e ricercando una migliore efficienza del lavoro attraverso un efficace presidio delle attività».
La programmazione dovrà prevedere «almeno un giorno alla settimana in sede per tutti, con la possibilità di arrivare fino al 50% dell’occupazione degli spazi». È chiaro che i piani della prima banca italiana potrebbero essere rivisti nel caso la pandemia tornasse a colpire violentemente l’Italia in autunno.
Un altro grande gruppo italiano, Eni, sta proseguendo nel graduale rientro nelle proprie sedi uffici di una parte del personale, naturalmente nel rispetto delle disposizioni in materia di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro. Durante l’emergenza il personale operativo ha assicurato con continuità la gestione delle attività sul territorio.
In particolare, a oggi opera negli uffici circa il 15% del totale dei dipendenti Eni presenti a regime, percentuale destinata a crescere fino a livello compatibile con le disposizioni in ambito salute e sicurezza. La restante popolazione continuerà a operare in smart working. «Lo smart working – spiegano dall’azienda – in relazione alla proroga dello stato di emergenza, resterà ancora, nelle forme e modalità attualmente in essere, una modalità di svolgimento delle attività per i dipendenti di Eni e delle società controllate operanti presso le sedi e gli uffici sul territorio nazionale, alternato progressivamente a periodi di lavoro in presenza e fino al 15 ottobre».