sabato 30 settembre 2023
La Società edificatrice di case operaie (Seco) costituita a Treviglio sulla spinta propulsiva di un sacerdote è un modello che ancora funziona. Il presidente Grazioli: ognuno faccia la propria parte
Meno di 2mila euro all'anno per l'affitto: quando la casa è comunità

IMAGOECONOMICA

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Nelle città italiane gli studenti protestano perché gli affitti sono troppo onerosi, ma non va meglio per le giovani famiglie che si trovano a dover affrontare spese sempre più alte per il condominio o per l’affitto, oltre alla difficoltà crescente ad accendere mutui per l’acquisito dell’abitazione. A questo si deve aggiungere l’impatto della gentrificazione, unito al cosiddetto overtourism ossia il turismo di massa, che nelle grandi città tendono a svuotare i quartieri centrali dagli “storici” residenti perché diventati troppo costosi, troppo affollati.

Per tutte queste ragioni, casa e povertà sono questioni da sempre complesse e mai slegate, che in alcuni casi virtuosi hanno, però, trovato delle soluzioni creative. Anche se va detto erano altri tempi quando è stata fondata la Società edificatrice di case operaie (Seco). Costituita a Treviglio nel 1901 sulla spinta propulsiva di un sacerdote, monsignor Ambrogio Portaluppi che, ispirato dai principi dell’Enciclica Rerum novarum fonda l’Unione Operaia San Giuseppe per sostenere le esigenze abitative degli operai trevigliesi con cui viene avviata la costruzione delle prime case. A raccontarlo il presidente della Società edificatrice case operaie (Seco), Giovanni Grazioli, tra gli ospiti del festival di Economia civile che oggi ha preso parte a una tavola rotonda sul ruolo dell’abitare.

Se la rigenerazione umana passa dalla rigenerazione urbana trovando il punto di incontro fra diversi bisogni, il progetto Seco si è dimostrato avanguardistico proprio per la volontà di agire insieme: «Non è stato un imprenditore che ha costruito case per attrarre lavoratori, ma sono state le persone stesse che attraverso una cooperativa sono diventate protagoniste. All’inizio monsignor Portaluppi fece una raccolta fondi per pagare la metà delle quote per far sì che gli operai costituissero la propria cooperativa e dessero il via alla costruzione delle loro case. E in seguito l’affitto è stato pagato direttamente alla cooperativa», alla base, dunque, vi è stata un’idea di collaborazione, «uno scambio mutualistico» ha proseguito Grazioli, che sul territorio è anche presidente anche della Bcc di Treviglio.

Nel tempo i caseggiati a due piani sono diventati 16 per totale di 102 appartamenti a Treviglio: «Oggi l’assegnazione delle case con affitti calmierati è ovviamente aperta non solo agli operai - ha continuato Grazioli - e si parla di affitti che non superano i 2000 euro all’anno. Oltre agli italiani che rappresentano, il 60 per cento degli inquilini totali, abbiamo altre quindici nazionalità che vivono nei nostri caseggiati a conferma che la questione migratoria è un’altra delle sfide del nostro tempo». Grazioli ha poi raccontato nel dettaglio i criteri di bisogno e necessità che vengono analizzati da una commissione che valuta le condizioni delle famiglie che non riescono ad accedere al comune mercato della casa. Oltre al caseggiati di via Portaluppi, dal nome di quel sacerdote che è ne è stato l’iniziatore, negli ultimi trenta anni sono stati replicati sul modello Seco altri progetti abitativi: in particolare sono stati costruiti una ventina di appartamenti per giovani famiglie con affitti calmierati nella frazione di Castel Cerreto; a Treviglio c’è anche la Casa della Solidarietà dove all’interno dieci bilocali che sono stati dati direttamente in gestione all’amministrazione comunale per fare fronte a situazione di emergenza abitativa temporanea. Mentre la comunità alloggio “La famiglia” offre una possibilità abitativa a persone con disabilità.
Sul fatto che dentro questi caseggiati siano sviluppate relazioni di aiuto reciproco è tornato Grazioli ricordando che «questi esempi» con adeguati strumenti, come offrendo l’accesso al credito alle famiglie, possono essere declinati anche nel mondo di oggi, a patto che si continui a ragionare in un’ottica comunitaria e ognuno facendo la sua parte.

Anche la vice ministra alle politiche sociali, Maria Teresa Bellucci, anche lei presente al festival dell’economia civile, dapprima scusandosi per Caivano, «come rappresentante del Governo – ha detto – sento la responsabilità di chiedere perdono a tutti coloro che sono stati invisibili, violati dai carnefici ma ancora di più da istituzioni che si sono arrese e hanno deciso di non combattere». Quindi ha concordato sul fatto che «il Governo non basta a sé stesso, serve un’alleanza tra istituzioni, privati e privato-sociale per vincere sfide così importanti. Dove ci sono degrado, criminalità e povertà soprattutto educativa, ci devono essere più istituzioni e più società: sono le istituzioni che sono più indietro, rispetto alla società e al terzo settore. Dobbiamo lavorare insieme a tutti coloro che pensano che la crescita passa attraverso l’aiuto del prossimo, solo così possiamo riempire le tante Caivano, le tante periferie di cultura, di vita, di sport. Penso che si possa fare, è una sfida che si può e si deve ingaggiare».

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