mercoledì 13 giugno 2018
Non era mai stato divulgato il dossier scritto dal futuro Giovanni Paolo I, e condiviso dalla Conferenza episcopale regionale, prima dell’uscita dell'enciclica di Paolo VI
Giovanni Paolo I, Albino Luciani

Giovanni Paolo I, Albino Luciani

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«Non consta, è dubbio. Nel dubbio, non si può accusare di peccato chi usa la pillola». La firma è quella di un’intera conferenza episcopale regionale e la mano è quella di un vescovo futuro Papa per un dossier finora riservato consegnato a Paolo VI alla vigilia dell'Humanae vitae e che ha avuto origine da questa dichiarazione: «Noi non possiamo assolutamente disinteressarcene. Se c’è anche una sola possibilità su mille, dobbiamo trovarla questa possibilità e vedere, se per caso, con l’aiuto dello Spirito Santo scopriamo qualcosa che finora ci è sfuggito… Vi assicuro che i vescovi sarebbero contentissimi».

È la primavera del 1965 quando l’allora vescovo di Vittorio Veneto Albino Luciani si rivolge in questi termini ai suoi preti in merito a uno dei nodi problematici cui vengono investite le conferenze episcopali in quello scorcio di anni che culmineranno con l’enciclica montanina: il controllo delle nascite. Nodo che papa Paolo VI aveva deciso di sciogliere, come è noto, sottraendolo al dibattito dei padri del Vaticano II. Ed è proprio il futuro Giovanni Paolo I a venire interessato a questo dossier nel momento in cui la Conferenza episcopale del Triveneto, sollecitata dalla Santa Sede al pari delle altre assemblee vescovili regionali, gliene affida l’elaborazione. Fu poi lo stesso Luciani a riferire pubblicamente che il cardinale Giovanni Urbani, patriarca di Venezia, lo aveva incaricato di redigere un documento a nome dei vescovi del Nordest.

È questo il dossier puntuale e di spessore che nella primavera del 1968 perviene sul tavolo di Paolo VI e che in un’udienza con il patriarca Urbani il Papa valuta molto positivamente, tanto che Urbani, di ritorno da Roma, volle deviare fino a Vittorio Veneto per riferire personalmente il positivo commento di Montini al vescovo Luciani. Le note dattiloscritte di questo documento presentato dalla Conferenza episcopale del Triveneto e del quale Luciani fu estensore, sono state rinvenute sono state rivenute tra le carte dell’allora vescovo di Vittorio Veneto nel corso della ricerca avviata dalla causa di canonizzazione ed ora contenute nella biografia ex documentis di Giovanni Paolo I, prossima alle stampe.

Le note furono presentate da Luciani nei giorni 23-24 agosto del 1967 mentre partecipava all’incontro dell’episcopato lombardo-veneto a San Fidenzio (Verona) in preparazione al Sinodo dei vescovi. «Il problema delle nascite – introduce Luciani – sentito anche nelle nostre diocesi ed un po’ oscurato dalle opinioni contrastanti che, dopo il Concilio, sono circolate sulla stampa di ogni genere, domanderebbe, se possibile, una risposta prossima. A parere di alcuni vescovi tale risposta può essere moderatamente “liberale”. Senza portare pregiudizio alla legge di Dio».

La posizione possibilista di Luciani era nota ed è stata da più parti attestata. Egli avvertiva i drammi degli sposi: ne aveva parlato anche con i familiari e diversi coniugi, si era documentato a fondo, aveva consultato teologi e medici. Sulla linea della Gaudium et spes, aveva redatto scritti in cui auspicava uno sviluppo della dottrina. L’8 aprile 1968 intervenne ancora davanti ai medici cattolici, esponendo lo stato degli studi teologici sulla regolazione delle nascite. Le problematiche morali e scientifiche legate al controllo delle nascite avevano infatti interessato Albino Luciani che le studiò con particolare attenzione cercando una strada in cui l’applicazione della dottrina cattolica potesse tenere in considerazione anche il dramma di coscienza di molte coppie credenti, tormentate dalla discrasia tra la fedeltà alle indicazioni magisteriali e le effettive difficoltà della vita di coppia. Si deve quindi distinguere – da una parte – la riflessione e le preoccupazioni di un pastore che è anche teologo dogmatico in ricerca, vicino con grande sensibilità pastorale alle difficoltà di tante coppie cristiane e quindi favorevole ad un maggior approfondimento della dottrina cattolica sulla questione e – dall’altra parte – considerare il vescovo fedele a una dottrina che era rimasta sostanzialmente e costantemente salda nella disapprovazione delle pratiche contraccettive.

La nota dattiloscritta ora pubblicata racchiude asserzioni che permettono di inquadrarne nitidamente il pensiero e presentano significative riflessioni, frutto della sua prolungata ricerca scientifica, teologica e pastorale. Anzitutto Luciani spiega che il «moderatamente liberale» vale in campo circoscritto e definitivo: «Cioè: non si considera qui il campo, in cui è già intervenuto il magistero (onanismo, limitazione delle nascite a mezzo strumenti e a mezzo sostanze chimiche, che aggrediscono, per esempio, l’ovulo fecondato o isteriliscono gli spermatozoi o inibiscono l’annidamento dell’ovulo fecondato alla parete dell’utero). Si considera qui il caso della sola pillola a base di “progestinico”». A queste precisazioni fa quindi seguire il seguente ragionamento: «Alcuni pensano che l’uso del progestinico sia “contra naturam”, appoggiandosi al Discorso del 12 settembre 1958 di Pio XII agli ematologi, nel quale il Papa dichiara lecito l’uso della pillola solo per applicazione del principio della causa che ha un doppio effetto. Pio XII, cioè, considera il blocco dell’ovulazione come un effetto cattivo da permettersi solo se viene posto, contemporaneo, un effetto buono. Il discorso citato fa difficoltà. Sarà però lecito osservare che Pio XII ha parlato della pillola come medicina e “rimedio alle reazioni esagerate dell’utero e dell’organismo”, non della pillola in quanto imitazione del “progesterone”; non s’è proposto di esaminare se sia lecito imitare la natura, ripetendo e prolungando effetti naturali. Egli suppone bensì che l’ovulazione impedita sia un male, ma non studia di proposito la nostra questione. Oggi gli studi scientifici hanno rivelato meglio la natura e i compiti del progesterone; si può – pare – studiare il problema sotto un punto di vista nuovo e dire almeno che c’è il dubium juris. Un’indicazione viene dalla famosa nota 14 al n. 51 della Gaudium et spes, dove, tra i citati atti del magistero, che hanno condannato strade proibite in materia di regolazione delle nascite, si cerca invano il Discorso del 12 settembre 1958. Eppure non era mancato in Commissione (ndr pro studio populationis, familiae et natalitatis), chi aveva chiesto quella citazione a gran voce». Considerate queste motivazioni Luciani si sofferma sulle leggi naturali: «Qualcuno dice: la natura ha stabilito che la donna ogni mese abbia l’ovulazione. Sì, ma la stessa natura sospende l’ovulazione durante la gestazione e l’allattamento e dopo la menopausa. Bisogna poi badare a non prendere “natura” in senso troppo stretto. La natura vuole, per esempio, che noi siamo più pesanti dell’aria: ciononostante facciamo bene a viaggiare via aerea imitando il principio naturale per cui volano gli uccelli!». Giunge dunque così a queste conclusioni: «Il magistero può certo interpretare autenticamente le leggi naturali. Ma con molta prudenza, quando ha in mano dati certi. Nel nostro caso i dati sembrano tali che o si dica: È lecito, o almeno si dica: Non consta, è dubbio. Nel dubbio, non si può accusare di peccato chi usa la pillola».

Queste in sostanza le considerazioni sottoscritte dai vescovi che pervennero a Paolo VI nella primavera del 1968. Il 25 luglio di quell’anno viene divulgata l’Humanae vitae. Delle preoccupazioni palesate nel documento il testo papale recepiva soltanto l’invito a continuare l’approfondimento scientifico per «dare una base sufficientemente sicura ad una regolazione delle nascite, fondata sull’osservanza dei ritmi naturali». Il 29 luglio, quattro giorni dopo la promulgazione, Luciani indirizzò ai suoi diocesani la lettera intitolata Appena letta l’enciclica, nella quale confessava che nel suo intimo si augurava «che le gravissime difficoltà esistenti potessero venire superate», si dichiarò consapevole delle amarezze che il dettato pontificio poteva suscitare, ma indicava l’adesione ai pronunciamenti di Paolo vi e prontamente ne applicò le direttive pastorali in un’adesione piena che gli permetteva di dire: «Pensiero del Papa e mio». Un’adesione certamente diversa rispetto a quella di altri ambienti ecclesiali, che al religiosum obsequium preferirono l’obsequiosum silentium o l’aperta contestazione, tanto che in seguito Paolo VI gli affidò sull’argomento anche l’incarico di preparare alcuni articoli per L’Osservatore Romano.

Tornando poi ancora sui temi dell’enciclica in Pensieri sulla famiglia, opuscolo largamente distribuito su iniziativa della Conferenza episcopale triveneta, in un quadro in cui la legge della gradualità diventa un’efficace metafora e il gioco di anticipo nei confronti di eventuali censori rigoristi è affidato alla citazione di san Francesco di Sales, Luciani rispondeva significativamente ad alcune domande sulla condotta dei coniugi in merito alla questione e sul discernimento da parte dei confessori: «Altro è il giusto “senso della colpa” ed altro l’angoscioso, disturbante “complesso di colpevolezza” – affermava – il primo è frutto di coscienza delicata, il secondo proviene da coscienza non bene illuminata e ignora che il Vangelo è messaggio di cose liete anche per i peccatori, se disposti a ritentare, sia pur con l’ennesimo sforzo, una vita sinceramente cristiana». Quindi afferma: «Come giudicherà Dio?… si può pensare che Dio, tutto vedendo e considerando, non abbia sospeso la sua amicizia con queste anime. Il contesto di una vita continuamente cristiana, autorizza, infatti, a sperare con qualche fondatezza che la volontà di quegli sposi non si sia distaccata da Dio e che la loro colpa possa essere non grave, anche se non sia dato di saperlo con certezza e di poterlo proclamare caso per caso. Questa mia risposta… non mi varrà – spero – l’accusa di voler collocare dei cuscini sotto i gomiti dei peccatori! È l’accusa che, su questo argomento, Bossuet ha già mosso a Francesco di Sales, che desiderava soltanto illuminare nelle loro gravi difficoltà i laici seriamente impegnati al bene».

È questo sguardo che caratterizzerà l’approccio del futuro Papa verso ogni questione morale. Un atteggiamento rigoroso e chiaro sul piano dottrinale che tiene costantemente presenti la delicatezza delle singole situazioni alla luce del messaggio evangelico, il valore della coscienza come tale e in ultimo il ministero apostolico stesso che proprio dalla magnanimità di Dio ha la sua propria misura.

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