
Vincenzo Livieri, Reuters
Il popolo europeista risponde numeroso alla chiamata di Michele Serra. Ancor prima dell’inizio della manifestazione gli accessi a Piazza del Popolo sono già chiusi. Davanti al palco ci sono almeno 30mila persone, tutti dalla stessa parte, ma tra i politici che popolano il backstage affiora ancora qualche distinguo. Anche cromatico, volendo, con Elly Schlein che sfoggia una giacca blu in tinta con la bandiera Ue appoggiata sulle spalle e Nicola Fratoianni che sceglie invece i colori della pace sulla sciarpa annodata al collo. Ci vorrà ancora tempo per ricomporre le posizioni, nel campo progressista come nel Pd. E anche se la segretaria non vuole parlarne («Oggi niente polemiche») diversi europarlamentari dem non nascondono la delusione per l’esito controverso del voto di Strasburgo sulla risoluzione per il RearmEu.
Le note dell’Inno alla gioia riempiono l’aria e accolgono l’ingresso sul palco dell’editorialista di Repubblica cui si deve l’idea dell’evento: «In un mondo che va in frantumi, una piazza che unisce le idee è uno scandalo. Questo scandalo ha un nome: democrazia. Diamoci una mossa, altrimenti l'unica bandiera da sventolare sarà quella della carta di credito. Ma quella è la bandiera di Trump».
Dietro il palco i politici non mancano: ci sono Francesco Boccia, Paolo Ciani, Ivan Scalfarotto e Alessandro Zan, poi Maria Elena Boschi e Carlo Calenda a rappresentare i centristi e l’altro portavoce di Avs, Angelo Bonelli. Nutrita la pattuglia delle fasce tricolori, guidate dal padrone di casa, Roberto Gualtieri, ma c’è anche il sindaco di Milano Beppe Sala, fresco di autocandidatura per un eventuale, nuovo Terzo polo.
Claudio Bisio conduce il pomeriggio, che prosegue tra interventi e performance, come quella di Mauro Pagani (ex Pfm), che interpreta la bellissima “Creuza de ma” di Fabrizio De Andrè. Applausi fragorosi per Corrado Augias: «Oggi questa piazza è di nuovo Ventotene (il luogo dove grazie all’impegno di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio colorni e altri fu elaborato il manifesto fondativo dell’unità europea ndr)». Il momento è meno drammatico, certo, ma non è meno difficile. Ed è per questo che una piazza così dimostra il suo entusiasmo». Stessa accoglienza anche per lo scrittore Antonio Scurati: «Noi non siamo gente che rade al suolo le città. Non massacriamo i civili e non deportiamo i bambini. Lo abbiamo fatto quando gli italiani, non tutti ma troppi, erano fascisti. Ma proprio per questo abbiamo smesso di farlo. Noi ripudiamo la guerra, ma farlo non significa essere inermi, rinunciatari. La democrazia è sempre lotta per la democrazia». «Sentiamo con il cuore che in questo mondo grande e terribile senza Europa, o con poca Europa, sono in gioco i nostri diritti personali e sociali – dice Gualtieri circondato dai sindaci presenti – e per questo serve un deciso salto in avanti verso un'Europa più forte, unita e solidale».
Come richiesto non ci sono simboli di partito, ma le associazioni rappresentate sono tantissime: dai tre sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil all'Anpi, dalla Comunità di Sant'Egidio all'Agesci, dalla Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace a Legacoop. «Siamo in tanti in questa piazza. Siamo diversi, ma tutti radunati da una passione che sentiamo forte in quest'ora: l'Europa e l'Europa unita – scandisce il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi -. Certo, l'Europa sembra lontana e ha perso credito. Ma di fronte ai grandi appuntamenti del futuro non si può non essere uniti. L'Europa è una necessità storica, non una retorica». Artisti e intellettuali intervengono senza soluzione di continuità, chi in presenza chi in video. Tra gli altri anche Fabrizio Bentivoglio, Luca Bizzarri, Gianrico Carofiglio, Javier Cercas, Renata Colorni, Lella Costa, Alessia Crocini (Famiglie Arcobaleno), Maurizio De Giovanni, Roberto Vecchioni, Corrado Formigli, Jovanotti, Luciana Littizzetto, Stefano Massini, Paolo Virzì e Gustavo Zagrebelsky. Sul palco il copione procede senza dissonanze, ma a conferma dell’eterogeneità delle posizioni arrivano le dichiarazioni dei politici. E se per Calenda «la pace deve essere garantita da un'Europa forte anche militarmente», per Bonelli «un'Europa che vuole investire 800 miliardi in armamenti compromette il suo futuro e il futuro delle generazioni che verranno». Asettiche le parole di Schlein, che si limita a ribadire la necessità di «costruire un'Europa federale, unita e che affronti insieme le sue sfide». La segretaria sa che tra i suoi europarlamentari quasi la metà ha disatteso il suo «ordine di scuderia», come lo definisce uno di loro. Una linea discussa in direzione, eppure sconfessata al momento del voto di Strasburgo sul Libro bianco della difesa. «Si possono avere opinioni diverse, ma è necessaria l’unità e sarei stato felice se tutta la delegazione si fosse astenuta. Abbiamo perso di autorevolezza», spiega Dario Nardella, mentre Antonio Decaro, tra coloro che hanno votato a favore, smorza i toni: «Ho votato secondo le mie convinzioni, ma non credo sia necessario un confronto nel partito o un congresso. La mia segretaria resta Schlein».