«Il documento francese proposto alle Nazioni Unite non è un documento finalizzato, in primis, alla depenalizzazione dell'omosessualità nei Paesi in cui è ancora perseguita, come i media, semplificando, hanno raccontato. Se fosse stato così, non ci sarebbe stato motivo perché l'Osservatore Permanente della Santa Sede a New York criticasse quel documento». Questo l'incipit della nota - intitolata "Difesa dei diritti e ideologia" - con cui oggi
L'Osservatore Romano è tornato sul nodo della depenalizzazione dell'omosessualità.«La Chiesa Cattolica, del resto, basandosi su una sana laicità dello Stato, ritiene che gli atti sessuali liberi tra persone adulte non debbano essere trattati come delitti da punire dall'Autorità civile - continua il quotidiano -. In merito, anche recentemente, il Magistero ecclesiastico ha affermato che la dignità delle persone omosessuali "deve sempre essere rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni" (Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, n. 10) e che a loro riguardo si dovrà evitare "ogni forma di ingiusta discriminazione" (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2358). La posizione della Chiesa su questo tema - è bene ricordarlo - è stata sempre moderata e coerente con la sua morale».Ma questo documento «in realtà, parla d'altro, e cioè promuove una ideologia, quella dell'"identità di genere" e dell'"orientamento sessuale". Le categorie di "orientamento sessuale" e di "identità di genere", che nel diritto internazionale non trovano alcuna chiara definizione, vengono introdotte come nuove categorie di discriminazione e si cerca di applicarle all'esercizio dei diritti umani. Si tratta, invece, di concetti controversi su base internazionale, e non solo dalla Chiesa, in quanto implicano l'idea che l'identità sessuale sia definita solo dalla cultura, e quindi suscettibile di essere trasformata a piacere, secondo il desiderio individuale o le influenze storiche e sociali. In sostanza, introducendo tali categorie, si nega l'ancoraggio anzitutto biologico della differenziazione sessuale e lo si recepisce soltanto come un limite, piuttosto che come fonte di significato, quale invece è. Si dà impulso al falso convincimento che l'identità sessuale sia il prodotto di scelte individuali, insindacabili e, soprattutto, meritevoli in ogni circostanza di riconoscimento pubblico. Si promuove, di conseguenza, un'idea sbagliata di parità, che intende definire uomini e donne secondo un'idea astratta di individuo».E ancora, secondo il quotidiano della Santa Sede, «non si tratta purtroppo di teorie marginali, se si pensa che le proposte di riconoscimento di diritti di famiglia alle coppie omosessuali - incluse quelle relative all'adozione e alla procreazione assistita - si basano sull'idea che la polarità eterosessuale non sia un elemento fondante della società, ma un arbitrio da cancellare. Quindi il tentativo di introdurre le citate categorie di discriminazione si salda con quello di ottenere l'equiparazione delle unioni dello stesso sesso al matrimonio e, per le coppie omosessuali, la possibilità di adottare o "procreare" bambini. Bambini che rischierebbero, tra l'altro, di non conoscere mai uno dei due genitori e di non poter vivere con lui o lei».Ma non è questo il solo pericolo: «L'introduzione di tali categorie - spiega ancora la nota - mette a rischio l'esercizio di altri diritti umani: si pensi alla libertà di espressione, oppure a quella di pensiero, di coscienza e di religione. Le religioni, per esempio, potrebbero vedere limitato il loro diritto di trasmettere il proprio insegnamento, quando ritengono che il libero comportamento omosessuale dei fedeli non sia penalizzabile, tuttavia non lo considerano moralmente accettabile. E verrebbe così intaccato uno dei diritti primari su cui si fonda la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948: quello alla libertà religiosa».
La nota di monsignor Celestino Migliore. Il Vaticano aveva già diffuso una nota dell'Osservatore permanente della Santa Sede all'Onu, mons. Celestino Migliore, nella quale si precisava ulteriormente la posizione della Chiesa sulla mozione francese: «La Santa Sede - si legge nel testo di mons. Migliore - apprezza gli sforzi fatti nella Declaration on human rights, sexual orientation and gender identity - presentata all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 Dicembre 2008 - per condannare ogni forma di violenza nei confronti di persone omosessuali, come pure per spingere gli Stati a prendere tutte le misure necessarie per metter fine a tutte le pene criminali contro di esse». «Allo stesso tempo - proseguiva - la Santa Sede osserva che la formulazione di questa Dichiarazione va ben aldilà dell'intento sopra indicato e da essa condiviso». In particolare, affermava mons. Migliore, «le categorie orientamento sessuale e identità di genere, usate nel testo, non trovano riconoscimento o chiara e condivisa definizione nella legislazione internazionale. Se esse dovessero essere prese in considerazione nella proclamazione e nella traduzione in pratica di diritti fondamentali, sarebbero causa di una seria incertezza giuridica, come pure verrebbero a minare la capacità degli Stati alla partecipazione a e alla messa in atto di nuove o già esistenti convenzioni e standard sui diritti umani». Quindi la nota spiegava: «Nonostante che la Dichiarazione giustamente condanni tutte le forme di violenza contro le persone omosessuali e affermi il dovere di proteggerle da esse, il documento, considerato nella sua interezza, va aldilà di questo obiettivo e dà invece origine a incertezza delle leggi e mette in questione le norme esistenti sui diritti umani».
L'editoriale di Avvenire. Anche
Avvenire aveva preso posizione sulla questione della depenalizzazione dell'omosessulaità, all'indomani della nota di Migliore, con un commento di Francesco D'Agostino intitolato "Una buona causa non usa argomenti pessimi". Il bioeticista spiegava come gli altri quotidiani avessero deformato il senso dell'obiezione del Vaticano alla mozione della Francia: «È infatti chiaro che la giustissima campagna contro questo particolare uso della pena capitale - scriveva D'Agostino - dovrebbe iscriversi nella più generale campagna contro qualsiasi pratica patibolare. Ad essa invece si è addebitata anche (o principalmente? il dubbio è legittimo) la funzione di far fare un passo avanti alla teoria del "genere": i veri diritti da riconoscere agli omosessuali non sarebbero quelli che doverosamente vanno riconosciuti a tutti gli esseri umani, ma i particolarissimi diritti del "genere". Ciò che si vuole, in buona sostanza, è portare avanti, fino alla definitiva legittimazione, e ai massimi livelli della comunità internazionale, l'idea secondo la quale l'identità sessuale non è un dato biologico, ma il prodotto di scelte personali, individuali, insindacabili e soprattutto meritevoli di riconoscimento e tutela pubblica (in questo appunto si sostanzia la pretesa del riconoscimento del matrimonio tra omosessuali)».