Parlare della pace in questo periodo è difficile e tutto sembra andare nella parte opposta. Ad un ragazzo che mi chiedeva cosa possiamo fare noi ho detto che dobbiamo metterla al centro delle nostre vite, anche nel quotidiano. Mi ha risposto: ma che significa? Significa sapere, ad esempio, accogliere chi è diverso da noi, significa avere il coraggio di andare controcorrente in un mondo dove vanno di moda la violenza e l’indifferenza, significa provare a far pace con qualcuno con cui hai litigato.
Ma che c'entrano queste cose con le guerre in Ucraina e ora quella in Medio Oriente? Eccome se c‘entrano perché la pace riguarda tutti. Se non siamo in grado di essere accoglienti con chi ci vive accanto nelle nostre città come possiamo parlare di pace?
Non possiamo pensare, in un mondo globalizzato, che quei conflitti non ci riguardano perché sono lontani. Non è così e ce lo ha detto il Papa già ai tempi della pandemia: “Nessuno si salva da solo, siamo tutti nella stessa barca tra le tempeste della storia”.
Certo, quello che abbiamo visto in queste settimane ci fa pensare che la strada della pace sia impossibile, ma dobbiamo crederci tutti perché è l’unica speranza per il futuro del mondo.
Cardinale, arcivescovo di Siena-Colle di Val D'Elsa-Montalcino e vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza