lunedì 14 aprile 2025
La senatrice di Noi Moderati sul codice Ateco: «Capisco che, oltre a quello fiscale, ci sono anche un tema di sicurezza e un vincolo europeo, ma è una mossa semplicistica e pericolosa»
Mariastella Gelmini

Mariastella Gelmini - .

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«Comprendo l’esigenza di allinearsi con la normativa europea, ma francamente introdurre un codice Ateco per i servizi sessuali a pagamento è un segnale profondamente sbagliato ed è anche un problema per il messaggio che diamo ai nostri ragazzi. Fortunatamente una classificazione statistica non cambia di certo le norme del nostro Paese», così Mariastella Gelmini, senatrice di Noi Moderati, commenta l’apertura del codice Ateco per la prostituzione (di per sé non vietata), ma anche per l’organizzazione di eventi e la gestione di locali di prostituzione, «attività che invece la legge vieta e persegue».

La classificazione vorrebbe dare una tutela dei diritti di “lavoratrici” e “lavoratori”?

La prostituzione non è un lavoro e non può essere equiparata a esso. Non è mai una scelta libera e personale. Spesso si tratta di fragilità economiche e sociali, coercizione, soprusi, abusi fisici e psicologici. Tutelare le vittime non significa chiedere loro di pagare le tasse. Capisco che, oltre a quello fiscale, c’è anche un tema di sicurezza e di controlli sanitari, ma questa non credo che sia la strada giusta.

Che cosa comporta la codificazione dell’attività in un Paese in cui la prostituzione non è reato, ma ciò che la induce, favorisce o sfrutta sì?

È obiettivamente un salto logico che sdogana la prostituzione e un cortocircuito pericoloso. È risaputo che la prostituzione sfocia quasi sempre nei reati di favoreggiamento, induzione o sfruttamento della prostituzione stessa. Tentare di codificare tutto questo solo da un punto di vista fiscale è semplicistico e si corre il rischio di prestare il fianco alla criminalità organizzata.

Non si corre il rischio anche di “normalizzare” ulteriormente la prostituzione e legittimarla in qualche modo?

Sì, il rischio è concreto. Basta parlare con il mondo del Terzo settore, con tutte quelle associazioni che ogni giorno, sul territorio, operano contro lo sfruttamento sessuale e si adoperano per offrire a tante donne una via di fuga, anche attraverso percorsi di formazione e indipendenza economica.

Che cosa si può fare?

Al Senato ho seguito l’indagine conoscitiva che la commissione Affari costituzionali ha affrontato recentemente sul fenomeno della prostituzione realizzata attraverso piattaforme telematiche. Abbiamo incontrato diverse associazioni ed esperti, tra cui il direttore del Servizio di polizia postale e per la sicurezza cibernetica, Ivano Gabrielli. Lo Stato italiano deve puntare a ridurre la domanda e a tutelare le persone. Sono convinta che la politica, in maniera trasversale, pur con sensibilità diverse, possa lavorare in questa direzione.

Il tema è anche culturale.

Condivido le parole di papa Francesco quando dice che «la prostituzione non è amore, ma significa schiavitù e tortura per una donna». Bisogna agire sicuramente in ambito culturale. No alla mercificazione del corpo della donna, no alla donna come oggetto sessuale. Rispetto per la persona e per la dignità umana. Serve un nuovo patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia, insieme su questo possono dare alle giovani generazioni un contributo importante. Ripristinare nelle scuole la “Settimana contro la violenza sulle donne”, che avevo introdotto anni fa da ministro dell’Istruzione, penso che possa essere utile anche in tal senso.

Oggi vediamo forme di normalizzazione della prostituzione online, dove anche i più piccoli rischiano di accedere a contenuti non adatti: che cosa si può fare?

Tra social media, app di incontri e siti di annunci c’è un vero e proprio reclutamento di donne e minori da inserire nei mercati sessuali attraverso la rete. Purtroppo l’attività di indagine spesso si scontra con la difficoltà di monitorare le piattaforme e individuare i responsabili quando i server sono localizzati all’estero. Compito del Parlamento è certamente quello di continuare ad indagare per tenere accesi i riflettori e individuare gli strumenti normativi più adeguati per intervenire.

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