domenica 12 marzo 2017
In Aula la legge sul fine vita o "biotestamento". I nodi: nutrizione e disposizioni al medico. Un testo ancora irto di delicate questioni rimaste irrisolte nei lavori in Commissione. Ma cosa prevede?
Cosa prevede la legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento?
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Cos'è la legge sul "testamento biologico"?

Il disegno di legge con le «Norme in materia di consenso informato e di Disposizioni anticipate di trattamento» (Dat), comunemente definita "legge sul biotestamento" o "testamento biologico", arrivata all’esame dell’aula di Montecitorio è il frutto di un sofferto lavoro in Commissione affari sociali della Camera. Qui era iniziato un anno fa l’iter per arrivare a una legge sul «fine vita » o «biotestamento» con 15 progetti di impostazione molto differente (da ipotesi di eutanasia a forme di tutela per la vita del paziente). La sintesi ha portato a un testo base, con l’incarico alla relatrice Donata Lenzi (Pd), composto da 6 articoli: Consenso informato (articolo 1), Minori e incapaci (2), Disposizioni anticipate di trattamento (3), Pianificazione condivisa delle cure (4), più una norma transitoria su 'testamenti biologici' già depositati (5) e un’ultima con vincoli per risorse umane e finanziarie.

Cosa sono le "Disposizioni anticipate di trattamento"?

Lo spiega l’articolo 3: «Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere – recita il primo comma –, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso le Dat, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari», senza eccezione. Indica anche «una persona di sua fiducia» che «lo rappresenti nelle relazioni con il medico».

Chi vuole e chi critica la legge sulle Dat?

Il dibattito sul testo base è iniziato a metà gennaio, con un’accelerazione improvvisa voluta dai sostenitori del progetto (Pd, M5S e Sinistra italiana) che ha dovuto presto fare i conti col dissenso profondo delle altre forze parlamentari. Nella Commissione presieduta da Mario Marazziti (Democrazia solidale-Centro democratico) si è acceso un confronto serrato su alcune centinaia di emendamenti presentati da una pattuglia di deputati cattolici di vari partiti che hanno ottenuto alcune modifiche significative ma non ritenute ancora sufficienti a pri- vare il ddl di possibili applicazioni con forme di abbandono terapeutico, eutanasia passiva o persino di suicidio assistito. La necessità di fare chiarezza ha comportato tempi più lunghi del previsto e ripetuti rinvii dell’invio all’aula. Il persistente dissenso su alcuni nodi irrisolti ha poi fatto sì che l’ultima fase dell’esame in Commissione abbia visto l’uscita dall’aula dei deputati dissenzienti. Le due settimane trascorse da allora sono servite per cercare nuove formulazioni, ma considerando l’estrema delicatezza della materia il fattore tempo risulta ancora determinante. Tanto da far pensare che ci si debba concedere un congruo margine per ripensare alcuni passaggi.

Perché si parla di "Disposizioni anticipate di trattamento"?

Un primo punto critico è già nel titolo: qui le «disposizioni anticipate di trattamento» hanno preso il posto delle «dichiarazioni» originarie, assai meno obbliganti per il medico. Sempre Dat sono, ma la scelta delle parole pesa. E' una scelta terminologica nuova: si è infatti parlato sempre di "dichiarazioni", alludendo a un documento redatto dal paziente e del quale il medico tiene conto senza tuttavia sentirsi obbligato ad assecondarlo alla lettera se le richieste del paziente non tengono palesemente conto delle migliori conoscenze in campo scientifico, terapeutico o clinico che potrebbero consentirgli un reale miglioramento delle condizioni di salute. La scelta di parlare di "disposizioni" mette inesorabilmente in secondo piano questa possibilità. Se il paziente ha la possibilità di modificare o revocare in ogni momento le sue Disposizioni anticipate di trattamento, il medico invece è "tenuto" al loro rispetto con la sola eccezione che "sussistano terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione" delle Dat "capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita" (articolo 3, comma 5).

Il testamento biologico è vincolante per i medici?

Altro scoglio. Al comma 7 dell’articolo 1 (poi ripreso dall’articolo 3 comma 3) il ddl scandisce che «il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo». E se il paziente per questo dovesse morire? Il medico davvero «è tenuto» a fare ciò che porta alla morte di chi, con l’esercizio delle sue migliori capacità (e senza accanimento), potrebbe salvare e far vivere? A complicare le cose l’aggiunta che «in conseguenza di ciò» il medico è esente da responsabilità civile o penale». Dunque la legge contempla l’ipotesi di atti che oggi prevedono sanzioni anche gravi. Facile immaginare quali.

E' previsto il diritto di cambiare idea sulle proprie scelte di fine vita?

Sì: c'è la possibilità sia di revocare il consenso prestato a terapie che si sono accettate sia di modificare in ogni momento il proprio "testamento biologico", con una sola rilevantissima eccezione. Una persona vittima di un incidente, di un malore o di un peggioramento improvviso delle condizioni di salute che gli fanno perdere coscienza sarebbe per questo motivo privata della possibilità di cambiare le proprie scelte di fine vita proprio nel momento in cui queste possono entrare in vigore. Il medico dovrebbe farsi mostrare dai parenti o dal fiduciario le sue Disposizioni anticipate di trattamento prima di procedere a qualsiasi decisione terapeutica, inclusa quella di tentare di rianimarlo, per essere certo che la sia scelta non fosse stata quella di non restare in condizioni di incoscienza - forse a tempo indeterminato - che non avrebbe accettato. Ma chi può escludere che in quel momento il paziente, trovandosi di fronte a un evento forse ritenuto improbabile al momento di redigere le Dat, non potrebbe cambiare idea? Non è forse un suo diritto? E se negarglielo equivalesse a spegnere la sua vita? Il medico, d'altra parte, potrebbe obiettare a un'eventuale richiesta da parte dei parenti o del fiduciario si "salvargli la vita" che se questa non era la volontà del paziente questi, una volta eventualmente risvegliato, potrebbe trascinarlo in giudizio, magari alla luce di disabilità ritenute intollerabili. In ogni caso, è facile immaginare che sul fronte applicativo e interpretativo delle Dat si aprirebbe un aspro contenzioso, con una casistica infinita e sentenze che, un passo dopo l'altro, finirebbero per allargare le maglie della legge. Senza contare la burocratizzazione dei rapporti tra medico e paziente, il cui dialogo su questioni di vita e di morte sarebbe delegato alle Dat anziché essere affidato a un patto fiduciario personale e diretto.

E' prevista l’obiezione di coscienza per i medici?

No. Se al medico si chiede di eseguire atti oggi puniti dalle leggi civili o penali andrebbe previsto il diritto all’obiezione di coscienza, che invece è assente. Al medico è concesso solo che «il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali» (articolo 1 comma 7). Un argine ritenuto però molto fragile. Non solo: al comma 10 si dice che «ogni azienda sanitaria pubblica e privata garantisce » la «piena e corretta applicazione» della legge. E se un ospedale invoca la propria ispirazione etica o religiosa per rifiutarsi di far morire di fame e di sete un paziente?

La nutrizione assistita si può sospendere?

Il problema forse più rilevante è la possibilità per il paziente di «revocare in qualsiasi momento il consenso prestato» (una facoltà estesa, nel caso di incoscienza, al fiduciario da lui nominato) anche quando questo «comporti l’interruzione» di «nutrizione e idratazione artificiali », considerate dunque al pari di terapie. Ma se, come molti sostengono, si tratta di semplici supporti vitali nessun medico può interromperli, tranne che in condizioni di morte imminente. E poi, chi può escludere che l’«incapacità di autodeterminarsi» non sia il preludio a un risveglio?

La legge sul fine vita prevede l'eutanasia?

In nessun punto la legge parla di eutanasia. Visto però che la sospensione dei trattamenti potrebbe configurare scenari eutanasici c’è chi chiede l’inserimento di un divieto esplicito, anche per evitare l’introduzione per prassi (o per sentenza) di forme di suicidio assistito 'alla svizzera'. Sul punto è facile immaginare un confronto assai aspro: da una parte c’è la pressione del caso di Fabo, dall’altra l’impegno su Avvenire il 5 marzo di quasi tutti i capigruppo alla Camera in risposta all’accorata lettera appello di Lorenzo, giovane gravemente disabile, che chiedeva loro di impegnarsi per escludere da una legge sul fine vita ogni ipotesi di eutanasia.

E' prevista la possibilità di ricorrere al suicidio assistito?

No. La legge non parla di suicidio assistito e neppure lascia aperta la possibilità che un paziente possa ottenere che personale medico o altre figure gli preparino una dose letale di farmaci che posso causare la sua morte a condizione che sia lui stesso a sommistrarseli da sé, come accaduto nel tragico caso di Fabo in Svizzera. Dunque non è vero che, se fosse stata già in vigore, la legge sul biotestamento avrebbe permesso al giovane milanese di darsi la morte in Italia. Tuttavia non è difficile immaginare che al momento della messa in pratica la legge potrebbe dare adito a problemi interpretativi che porterebbero a forme velate di aiuto al suicidio. Se un paziente non terminale chiede la sospensione di terapie o sussidi vitali che gli possono permettere di vivere senza che si configuri alcuna forma di accanimento terapeutico il medico che glieli sospende non finisce per assecondare di fatto una volontà di suicidio?


QUI IL TESTO DEL DISEGNO DI LEGGE

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