I carabinieri sul luogo di un'intimidazione mafiosa nel Foggiano - Ansa
Prima un ordigno esploso all’ingresso di un salone da parrucchiere, nella notte tra mercoledì e giovedì, a San Severo. Poi, nelle ultime ore, la distruzione del vigneto dell’azienda agricola Vassallo, nell’agro della città, che ha gettato nella disperazione il 23enne titolare. Il tutto in un quadro di forte pervasività della criminalità che, nonostante l’impegno di forze dell’ordine e magistratura, continua a condizionare fortemente il territorio foggiano.
Tanti episodi, troppi, ormai «oscurano il volto di San Severo». E «la Chiesa non può restare a guardare o girarsi dall’altra parte, facendo finta di nulla». Lo dice il vescovo della locale diocesi, Giuseppe Mengoli: «Le ingiustizie e gli atti di violenza – le sue parole – si ripetono con frequenza e creano un clima di terrore, devono provocare indignazione, affinché la parte malata della società non continui a far ammalare quella sana, che pure c’è». Il monito del presule si fa durissimo, proprio come la fotografia di una città sfigurata dai criminali: «San Severo è teatro, ormai, di illegalità, di aggressione violenta, tanto da far credere che lo stato di diritto sia stato soppiantato da un regime di terrore. La diffusa rassegnazione e la comune paura, poi – aggiunge Mengoli –, contaminano nella nostra città la convivenza sociale, paralizzano ogni desiderio di miglioramento, lasciano uno stato d’inguaribile delusione». Il domani, in un simile contesto, è a tinte fosche. E monsignor Mengoli non ha mezzi termini: «Seguendo questa via non ci sarà più futuro, non ci sarà sviluppo, non ci sarà più vita. E a perdere saremo tutti».
Da qui l’invito del vescovo a invertire la rotta, a innescare gli anticorpi del vivere civile per affrancarsi da una condizione di sottomissione: «Non siamo nel Far West dove può prevale indisturbata la legge del più forte! I sistemi malavitosi, le rivendicazioni di parte, gli interessi corrotti – osserva monsignor Mengoli – destabilizzano le autentiche forze propositive presenti in molti e la volontà di riscatto che, per grazia di Dio, non si lascia morire. Affermo con forza che anche in questa nostra terra il bene è più forte del male e che la Chiesa ha la grave responsabilità di ribadirlo ogni giorno senza timore, perché il bene viene da Dio e di questo bene i cristiani sono chiamati a essere i promotori». Già, i cristiani, quelli «veri, però – precisa il pastore –, non quelli di facciata, né quelli abitudinari e chiusi in contesti protetti che non toccano il vissuto della gente».
La conclusione sembra essere la riproposizione di una missione pastorale che tenda la mano al mondo delle fragilità che, da queste parti, è anche il mondo degli sfruttati e delle vittime di ogni genere di soprusi: «Come vescovo sono accanto a chi è leso nei suoi diritti fondamentali, a chi è aggredito da azioni violente, irrazionali e scellerate, a chi è sfruttato da manovalanze schiavizzanti, a chi non ce la fa più e vorrebbe scappare da qui, a chi in poche ore vede andare in fumo il suo lavoro. Sono vicino alle tante persone ferite che ho conosciuto nei mesi scorsi e a quelli che attendo ancora di conoscere. Il silenzio omertoso non è lo stile del cristiano, non può essere l’atteggiamento della Chiesa, la quale, poi, insieme alle altre istituzioni, ha il delicato compito dell’educazione dei più piccoli, spettatori spesso involontari di scenari raccapriccianti e, nello stesso tempo, seducenti. La nostra forza scaturisce dalla nostra certezza che la violenza non potrà mai essere l’ultima parola! Mai!».