martedì 11 giugno 2024
Great, Alexandrina e Baofa Mifri hanno dovuto attendere i 18 anni per partecipare alle competizioni internazionali. La Federazione italiana di atletica leggera vuole accelerare tempi e procedure
Zaynab Dosso, bronzo nei 100 metri ai Campionati europei di Roma, esempio di chi è riuscito ad avere la cittadinanza italiana

Zaynab Dosso, bronzo nei 100 metri ai Campionati europei di Roma, esempio di chi è riuscito ad avere la cittadinanza italiana - ANSA

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Correre, saltare e lanciare. Gesti primordiali che fanno dell’atletica leggera la base di qualsiasi sport. Lungo lo Stivale, dopo i cinque ori olimpici di Tokyo, è scoppiata l’atletica-mania, di cui agli Europei di Roma si celebra il festival dell’alto livello, ma la Regina dei Giochi è entrata anche nelle lezioni di educazione civica, in quanto motore di cittadinanza sostanziale per chi non riesce a ottenere quella formale.

Teenager che partecipano ai campionati tricolori, fanno gli stage e i raduni con i colleghi della Nazionale, ma sul più bello vedono sfumare il proprio sogno, non potendo rivestirsi d’azzurro. Colpa di un sistema normativo che si ritorce contro chi è nato in Italia da genitori stranieri, oppure è arrivato da piccolo nel nostro Paese. Una situazione complessa che ha impedito e continua a impedire a talenti dell’atletica di disputare le competizioni internazionali.

Le due storie più emblematiche, entrambe per fortuna col lieto fine dopo anni di difficoltà e impedimenti, hanno interessato l’astista Great Nnachi e la marciatrice Alexandrina Mihai. Great è nata a Torino il 15 settembre 2004, ha vinto titoli nazionali da cadetta, allieva e junior, ma non ha potuto vestire la maglia azzurra fino al compimento della maggiore età, perché non aveva la cittadinanza, in quanto figlia di nigeriani. Suo papà, ex dipendente della Fiat, è mancato quando aveva cinque anni, suo fratello minore gioca nelle giovanili della Juventus e lei era stata nominata persino Alfiere della Repubblica dal presidente Mattarella « per le qualità di atleta, affinate pur tra difficoltà, e per la disponibilità che mostra nell’aiutare i compagni e nel collaborare alla formazione e all’allenamento dei più piccoli».

Eppure fino a settembre 2022 non ha potuto vivere alcuna rassegna internazionale, poi l’anno scorso al primo colpo è salita subito sul podio agli Europei Under 20 di Gerusalemme: «Un secondo posto che vale quanto un oro, pensavo da anni a quel momento e quando è capitato per davvero è stato magico. Mi sono sempre sentita italiana, anche quando non potevo vestirmi d’azzurro, ho resistito grazie anche al mio allenatore e al mio club e finalmente ce l’ho fatta».

La marciatrice veronese Alexandrina Mihai, classe 2003, è nata in Moldavia, ma è giunta in Italia quando aveva cinque anni. È stata nell’ultimo lustro la migliore interprete italiana del tacco e punta a livello giovanile, ma siccome i genitori quando era minorenne non avevano ottenuto la cittadinanza, ha dovuto aspettare il 2021 per fare la domanda.

I mesi passavano, ma lei oltre alla conferma della ricezione, non otteneva alcuna risposta. L’anno scorso la pratica si è sbloccata e così ha potuto vivere un’estate azzurra tra Europei Under 23 (argento a Espoo in Finlandia) e Universiadi (quinta in Cina): « È una maglia azzurra che aspettavo da tantissimo. Soltanto io so come mi sono sentita nel dover rinunciare a tante Nazionali perché non avevo la cittadinanza. È stato frustrante, ma non si sono abbattuta perché chi mi stava attorno mi incoraggiava a migliorare nonostante tutto».

L’esperto della materia è Antonio Andreozzi, il responsabile delle nazionali giovanili della Fidal. «Chi nasce in Italia da stranieri può chiedere la cittadinanza dopo il compimento della maggiore età. La procedura si può velocizzare solo se i genitori fanno richiesta e ottengono la cittadinanza, che in questo caso si trasmette anche al minore. Chi invece arriva in Italia da bambino deve avere almeno 10 anni consecutivi di residenza con regolare permesso di soggiorno, prima di poter fare la domanda».

Oltre a Nnachi (oggi nei Carabinieri) e Mihai (arruolata nelle Fiamme Oro) c’è chi dopo una lunga trafila burocratica ce l’ha fatta, come la triplista pordenonese Baofa Mifri Veso che ha sempre vissuto in Italia, ma avendo genitori congolesi ha dovuto aspettare i 18 anni compiuti a dicembre, e chi invece è ancora in mezzo al guado, come il siepista toscano Abderrazzak Gasmi: siccome i genitori non erano in regola, ha dovuto attendere la maggiore età per chiedere il permesso di soggiorno e ora gli restano altri cinque anni per indossare la casacca azzurra.

Questi atleti non possono gareggiare in nazionale né entrare nei gruppi militari, ma disputano i campionati italiani perché la Fidal li considera equiparati dopo tre anni di tesseramento per un club nostrano. Tutto si risolverebbe con l’introduzione dello Ius Scholae: «Ciò porterebbe la cittadinanza a chi è nato in Italia, o è arrivato prima dei 12 anni, e ha frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio. Così potremmo metterci al passo con gli altri Paesi».

Infatti chi nasce in Germania ha subito la cittadinanza tedesca e a 18 anni può scegliere se mantenerla o meno, mentre in Francia si può avere la doppia cittadinanza e poi decidere da maggiorenni. « Rispetto ad altre nazioni – conclude Andreozzi – siamo penalizzati, non potendo schierare ragazzi italiani a tutti gli effetti». Dopo la cittadinanza sportiva serve quella civile, unendo sostanza e forma. Una lotta contro il tempo per non disperdere talenti.

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