Yeman Crippa. oro nella mezza maratona ai Campionati europei di atletica in corso a Roma - ANSA
A mezzanotte passata nel Foro Italico c’è un gigante con una collana d’argento sul petto che firma autografi e scatta selfie. È Chituru Ali, argento europeo nei 100 dietro Marcell Jacobs, uno dei simboli di una disciplina un passo avanti rispetto in tema di integrazione. Molti medagliati nella rassegna continentale hanno la pelle d’ebano, sono nati all’estero, sono arrivati nello Stivale dopo lunghe trafile, eppure sono italianissimi fino al midollo. Nessuno li emargina, tutti li cercano, perché qui le differenze non esistono.
Giovane, spavalda e multietnica: è l’atletica tricolore che incanta su piste e pedane dell’Olimpico. « La nostra squadra rispecchia il Paese, bisogna prenderne atto. In Nazionale nessuno si accorge che il collega o la collega hanno la pelle di colore» sintetizza il direttore tecnico Antonio La Torre, aggiungendo che «dal 1960 ad oggi mancano nove milioni di persone tra i 20 e i 34 anni: non è colpa di chi arriva se noi non facciamo più figli».
Ali è la nuova tessera di un mosaico sociale dove le storie di vita si mescolano con lo sport. A differenza di Jacobs – che è nato all’estero (il papà è texano) e poi si è trasferito con la mamma bresciana sul Garda – Chituru (alto 1 metro e 98 centimetri) è nato a Como nel 1999: «Sono stato in affido da quando avevo tre anni con la famiglia Mottin, i miei genitori naturali, mio padre del Ghana e mia madre nigeriana, all’epoca erano in Italia, ora non so bene dove siano, li ho persi di vista».
Ha avuto invece natali travagliati il nuovo campione continentale della mezza maratona, il ventottenne Yeman Crippa, nome rodato del mezzofondo tricolore, perché primatista italiano dai 3000 metri fino alla maratona. « La mia famiglia era originaria del Nord Est dell’Etiopia, dove purtroppo quando sono nato c’era la guerra civile. Io e miei fratelli siamo finiti in un orfanotrofio di Addis Abeba e nel 2003 siamo stati adottati da una coppia milanese (Roberto e Luisa Crippa) e siamo andati a vivere in Trentino». Precisamente a Montagne, vicino Tione, dove Yemaneberhan (nome che in amarico, lingua ufficiale dell’Etiopia, significa “il braccio destro di Dio”) ha scoperto la corsa: «Ai Giochi di Parigi correrò la maratona, la disciplina più iconica dell’atletica». Intanto durante i festeggiamenti a Casa Italiana Atletica, alle Officine Farneto, Yeman non nasconde l’emozione: «Correre e vincere in casa con la gente che tifa per te è troppo bello».
Poco prima nella pancia dello stadio, domenica sera, due esponenti del G2 urlavano di gioia per essersi rivestiti di bronzo. L’ottocentista Catalin Tecuceanu ha sudato sette camice prima di indossare la maglia azzurra. Nato a Tecuci in Romania, a nove anni si è trasferito con mamma e fratelli a Trebaseleghe per ricongiungersi col papà. Nel 2017 agli Europei juniores difendeva i colori rumeni, perché solo nel 2021 (a 22 anni) ha ottenuto la cittadinanza italiana, esordendo in Nazionale l’anno successivo: «È una medaglia dedicata a tutti quanti mi hanno sostenuto, in particolare al mio fratellino, alla mia famiglia e a tutti gli allenatori che nel corso degli anni mi hanno seguito».
La velocista Zaynab Dosso era già stata sul podio ai Mondiali indoor, ma essersi ripetuta sui 100 metri nella città dove si allena non ha prezzo. «Ho fame di medaglie, ma anche tutta l’Italia è affamata di grandi risultati» racconta la ventiduenne, nata in Costa d’Avorio, il cui nome in arabo significa saggezza e la cui storia ripercorre quella di Tecuceanu con una differenza: la tempistica più breve della cittadinanza. È approdata a Rubiera nel 2009, raggiungendo la famiglia che si era trasferita nel 2002, pertanto ha prestato giuramento già a 17 anni.
Dosso si allena col campione europeo dei 110 ostacoli, Lorenzo Ndele Simonelli. Il secondo nome, che significa primogenito, racconta la metà tanzaniana dell’atleta, nato nel 2002 a Dodoma nel 2002, in Tanzania, il paese della mamma, dove il papà, antropologo genovese, si era trasferito per ricerche. « L’Italia è così, bisogna prenderne atto. Sono metà italiano e metà tanzaniano, ma orgoglioso di vestire l’azzurro».
Come pure Nadia Battocletti, oro nei 5000 con mamma marocchina, o Mattia Furlani, argento nel salto in lungo, la cui mamma-allenatrice è l’ex velocista senegalese Khaty Seck. «Qui il greco Tentoglou mi ha battuto ma a Parigi vorrò la rivincita». L’onda azzurra viaggia spedita verso la Francia. Dal Tevere alla Senna senza indugi. Non contano il colore della pelle, il luogo di nascita o l’origine dei genitori, basta solo emozionarsi quando l’Inno di Mameli squarcia la notte romana. Italiani puri.