Il primo ministro svedese, Ulf Kistersson, e il primo ministro belga, Alexander De Croo, insieme ieri durante il tributo ai due tifosi svedesi uccisi a Bruxelles - Reuters
Rimpatrio forzoso di migranti che costituiscono un rischio alla sicurezza, possibilità di agire sui visti, vincolare gli aiuti allo sviluppo alla cooperazione sul fronte migratorio. Sull’onda degli attacchi di Bruxelles e Arras, l’Europa si ripiega sulla paura all’insegna della «fortezza». Anche la giornata di ieri è stata costellata di allarmi. Dieci aeroporti chiusi per allerta bomba in Francia (non Parigi), chiuso anche lo scalo di Ostenda, in Belgio. Allarme bomba pure alla Reggia di Versailles, rivelatosi falso, mentre nella notte tra martedì e mercoledì a Berlino si sono registrati scontri tra la polizia e manifestanti pro-Hamas, con 20 agenti feriti.
Un clima di alta tensione, nel quale si inserisce la decisione dell’Italia del ripristino, dal 21 ottobre, dei controlli di frontiera al confine Schengen con la Slovenia. Una decisione, ha dichiarato la premier Giorgia Meloni, che «si è resa necessaria per l'aggravarsi della situazione in Medio Oriente, l'aumento dei flussi migratori lungo la rotta balcanica e soprattutto per questioni di sicurezza nazionale, e me ne assumo la piena responsabilità».
Il che porta a nove il totale degli Stati che hanno ripristinato i controlli all’interno dell’area senza frontiere (ci sono anche Austria, Germania, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Svezia e Francia più la Norvegia, fuori dall’Ue ma dentro Schengen). «Se non siamo in grado di proteggere i nostri confini comuni – avverte il premier svedese Ulf Kristersson, a Bruxelles per partecipare a una cerimonia commemorativa dei due svedesi assassinati lunedì dal tunisino Abdessalem Lassoued, insieme al primo ministro belga Alexander De Croo e ai vertici Ue - non saremo in grado di sostenere la libera circolazione all'interno dell'Europa».
Delle tensioni e dei rischi per l’Europa legati anzitutto al conflitto in Medioriente parleranno oggi, a un Consiglio (in calendario da tempo) in Lussemburgo i ministri dell’Interno. «La minaccia del terrorismo – dichiara la commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson – è ancora alta nell'Ue. Potrebbe aumentare. Vediamo anche un cambiamento negli schemi, con più attacchi compiuti da lupi solitari». La prima reazione è proprio la richiesta di espellere i migranti pericolosi. Lassoued, dichiara De Croo, «avrebbe dovuto lasciare il Belgio, ma è uscito dal radar e i nostri servizi di sicurezza non sono stati in grado di individuare dove fosse. Servono ulteriori strumenti, perché chiedere gentilmente di andarsene non è abbastanza».
È su questo che punta la Commissione Europea. «Alle persone considerate una minaccia per la sicurezza che hanno ricevuto un ordine di rimpatrio – dichiara la presidente Ursula von der Leyen - attualmente può essere chiesto di andarsene volontariamente. Dobbiamo cambiare urgentemente questa situazione. La Commissione per questo ha proposto che se una persona è considerata una minaccia per la sicurezza pubblica, i Paesi devono costringerla ad andarsene». Il riferimento è una riforma della direttiva rimpatri, già approvata dagli Stati membri ma ferma al Parlamento Europeo. «Entrambi gli autori degli attacchi, in Francia e a Bruxelles – commenta il vice presidente della Commissione Margaritis Schinas - avevano esattamente questo background. Pensiamo che sia una proposta giusta e che avremmo dovuta averla ieri». Secondo gli ultimi dati di Bruxelles, su 420.000 decisioni di espulsione, nell’Ue solo 77.000 sono stati eseguiti.
«È arrivato il momento – dichiara Johansson - per fare di più affinché quanti stanno illegalmente facciano ritorno nei propri Paesi». Altro tema che sarà sul tavolo del Consiglio Interni oggi a Lussemburgo. Molti Stati di origine rifiutano di riprendersi i migranti e Bruxelles pensa alle maniere forti. L’Ue, dice Von der Leyen, ha una leva chiave: gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo. In cambio, dice, «i Paesi di origine e di transito devono assumersi la responsabilità dei loro cittadini, il che significa che se li devono riprendere». Si guarda ad accordi bilaterali con i Paesi di origine e transito, anzitutto 25 Paesi dell’Africa settentrionale e subsahariana. L’occhio è anche al modello del memorandum con la Tunisia (che per ora funziona poco e male) estendibile anzitutto a Egitto e Marocco per frenare i flussi. L’altra leva, proposta ieri dalla Commissione Europea, è quella dei visti: Bruxelles propone di ampliare le fattispecie che consentono di sospendere accordi per l’ingresso senza visti nell’Ue, includendo ad esempio il caso di «strumentalizzazione dei migranti» o il «mancato allineamento» con le politiche dei visti Ue. Il riferimento è alla Tunisia, che non richiede visti ai cittadini dei Paesi dell’Africa Subsahariana, che così usano il Paese nordafricano come «base» per arrivare nell’Ue.