mercoledì 18 ottobre 2023
Yassine Lafram: Hamas? Abbiamo sempre condannato tutti gli atti terroristici contro civili inermi. L’attentato di Bruxelles contro i principi dell’islam. La rappresaglia israeliana sanguinosa
Yassine Lafram, presidente dell'Unione delle comunità islamiche italiane

Yassine Lafram, presidente dell'Unione delle comunità islamiche italiane - Collaboratori

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La causa palestinese è «una ferita aperta per tutta la comunità islamica mondiale». Non fa nulla per nascondere il suo sgomento, visto quel che sta accadendo a Gaza, Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane. Sono stati giorni di rabbia, in Medioriente, per milioni di musulmani che, nel nostro Paese e in Europa, si sono tradotti in diverse, per certi versi sorprendenti, manifestazioni di solidarietà. Eppure l’imam di Bologna sa bene che nessun discorso è possibile, senza una premessa. «Vuol sapere se condanniamo Hamas? Abbiamo sempre condannato, e non ci stancheremo mai di farlo, tutti gli atti terroristici che prendono di mira civili inermi» dice.

Yassine Lafram, le azioni terroristiche di Hamas e l'offensiva militare di Israele hanno aperto una crisi senza precedenti. Come Ucoii avete espresso solidarietà ai civili e chiesto la tutela dei luoghi sacri. Cosa possono fare le religioni per diventare strumento di dialogo e di pace?

Più che le religioni, direi i religiosi e gli uomini e le donne di buona volontà devono far sentire la propria voce a partire dal basso fino ad arrivare ai massimi esponenti dei tre grandi credi monoteisti. Il Papa si è già espresso più volte, la comunità islamica italiana e mondiale prega per un immediato cessate il fuoco. A sentire i proclami del governo di Israele, a dir la verità, non ci aspettiamo nulla di buono nei prossimi giorni e siamo pronti a muoverci per scendere in piazza, pacificamente, in difesa di tutte le vittime civili.

Com'è possibile ancora oggi che si uccida in nome di Dio?

Nessuna religione, nessun Dio, consente l'uccisione di civili inermi e innocenti. La componente religiosa nel caso specifico del conflitto israelo-palestinese è sicuramente da non sottovalutare in quanto c’è “in gioco” la culla delle tre religioni monoteiste, Gerusalemme.

Quanto vale per voi la causa palestinese?

Molto, moltissimo. È una ferita aperta per tutta la comunità islamica mondiale. Fino a quando il popolo palestinese non sarà liberato da quella gabbia a cielo aperto chiamata Gaza, fino a quando i milioni di profughi palestinesi non potranno tornare nella loro terra, fino a quando non verranno smantellati i campi profughi della Cisgiordania, fino a quando non cadrà quel muro infame e illegale, non ci sarà pace in Palestina e noi musulmani abbiamo il dovere di denunciare tale situazione. Stiamo vivendo giorni di dolore profondo. Le immagini che ci arrivano da Gaza ci straziano il cuore. La vista dei corpi dei bambini uccisi dalle bombe di Israele non fa altro che alimentare in noi un senso di impotenza e ingiustizia. È in corso una rappresaglia sanguinosa.

Cosa pensate dell’equazione Hamas-Palestina? Parlare di dialogo tra mondo arabo e Israele adesso è un’utopia?

Credo sia un errore associare Hamas a tutto il popolo palestinese. Quanto al dialogo, aspro quanto si vuole, penso non debba mai venire meno. La via diplomatica è l’unica strada da perseguire, l’Europa e magari con l’Italia in prima fila devono farsi promotori di una conferenza di pace in Vaticano con papa Francesco come garante tra le parti. Ora è il momento di far tacere le armi e far parlare gli uomini di buona volontà.

Quali passi si potrebbero compiere, forse partendo dal principio “due popoli, due Stati”?

Quella è un’opzione, almeno lo era nel 1948, solo che poi lo stato di Palestina con la sua sovranità non è mai nato. Prima del 1948, lo ricordo, cristiani, musulmani ed ebrei vivevano in pace in Palestina. Fino a quando Israele non rispetterà il diritto internazionale e costringerà i palestinesi, musulmani e cristiani, a vivere da cittadini di serie B, non vedo soluzioni di pace durature. Intanto il dramma del popolo palestinese continua.

L’attentato di Bruxelles ad opera di un presunto jihadista ha riaperto polemiche sul rischio radicalizzazione. Che ne pensa?

È un atto terroristico da condannare nel modo più assoluto. Uccidere dei civili che stanno andando allo stadio a vedere una partita di calcio è totalmente illogico e ingiustificabile. Il fatto che in Svezia si siano verificati episodi islamofobi non può giustificare in alcun modo la violenza verso chiunque. Solo uno squilibrato è capace di un atto simile. Un atto terroristico che va contro i principi dell’islam. Alle famiglie delle vittime vanno le nostre più sincere condoglianze.

Antisemitismo risorgente e islamofobia sono due facce della stessa medaglia?

L’antisemitismo e l’islamofobia, pur essendo figli di due percorsi storici e processi politici e sociali ben differenti, insieme rappresentano una manifestazione di razzismo, ovvero di odio verso un “diverso” in quanto tale, per via della sua etnia e o religione. Bisogna reagire con fermezza a queste piaghe soprattutto attraverso un impegno pedagogico e culturale, ed è determinante anche il ruolo delle istituzioni politiche.

Come intervenire per evitare tensioni a livello di opinione pubblica?

Le tensioni sono difficilmente controllabili. Certamente i mass-media hanno un ruolo centrale affinché questo conflitto violento non si sposti anche nelle piazze italiane. L'attuale narrazione delle televisioni e dei giornali, che sembra essere ancora una volta indifferente rispetto alla sofferenza dei palestinesi, non fa altro che alimentare il senso di ingiustizia che vive l’intera comunità islamica. Il governo italiano dovrebbe tornare al suo ruolo storico, quello di grande mediatore, facendosi promotore di un processo di pace, una road map per il riconoscimento dei diritti del popolo palestinese.

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