venerdì 8 settembre 2023
Parla Tina Marinari, coordinatrice della nuova campagna di Amnesty per prevenire gli abusi attraverso l'educazione dei giovani nelle scuole
Il logo della campagna #iolochiedo

Il logo della campagna #iolochiedo - Amnesty

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«È come un treno, per viaggiare ha bisogno di due binari paralleli: un impianto legislativo adeguato da un lato, una nuova cultura dall’altro. Se davvero vogliamo contrastare la violenza contro le donne questi due aspetti vanno affrontati insieme».

Tina Marinari è la coordinatrice della campagna #Iolochiedo di Amnesty International Italia che punta sulla prevenzione degli abusi nei confronti delle donne, soprattutto attraverso l’educazione dei ragazzi nelle scuole, e parallelamente chiede appunto una modifica del Codice penale affinché sia considerato stupro qualsiasi atto sessuale senza consenso. Attualmente infatti l’articolo 609-bis punisce solo chi «con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali».

E invece non sempre viene esercitata una violenza fisica...

Esatto, ma va ribaltato il piano. Per gli atti sessuali deve esserci sempre un consenso. Esplicito o almeno ben desumibile da un’attiva partecipazione. Se invece una donna dice no o resta paralizzata o mostra di non gradire è evidente che il consenso non c’è. E quindi chi continua in quell’atto sessuale sta compiendo uno stupro che deve essere punito.

Ma in qualche caso il consenso non potrebbe essere equivocato?

In realtà no. Dobbiamo anzitutto sfatare tutti quegli stereotipi tipici di una cultura maschilista sbagliata. Non è vero che “quando una donna dice no è per farsi desiderare e in realtà il suo no significa sì”. Il no è no e il sì è sì. È questa la cultura del consenso che va promossa. Consenso vuol dire essenzialmente rispetto dell’altra persona, dei suoi diritti e prima ancora della sua dignità.

Faccio l’avvocato del diavolo: non si rischia che una ragazza denunci il suo ex solo per vendetta, dicendo che non era consenziente in un rapporto?

Le eccezioni negative possono sempre capitare. Ma anzitutto qualsiasi notizia di reato deve essere vagliata tramite indagini e poi giudicata dalla magistratura. Poi, soprattutto, è davvero difficile che una ragazza si esponga con un’accusa falsa su un tema tanto delicato che poi comporta una dura trafila di verifiche. In ogni caso, la nostra richiesta di modifica del Codice penale si basa su quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul firmata nel 2011 e ratificata 10 anni fa dall’Italia.

Alcuni Paesi hanno già modificato le loro normative in questa direzione, come ad esempio la Spagna con la legge «Solo sí es sí»...

E più recentemente lo hanno deciso la Svizzera a giugno e i Paesi Bassi a luglio. Prima della Convenzione il consenso era previsto in 9 nazioni, ora in 17 su 46 che fanno parte del Consiglio d’Europa. È ora che lo faccia anche l’Italia, per questo insistiamo con la campagna #Iolochiedo, finanziata con le donazioni e le firme del 5x1000 dei cittadini. Andiamo nelle scuole per favorire la crescita di una nuova cultura. E alla politica chiediamo di rendere esplicito il cambiamento modificando il Codice penale.

Gli ultimi casi di cronaca testimoniano proprio come il fattore educativo sia decisivo.

Per i giovani e non solo. Quando si trattano casi di violenza sessuale ancora si discute di come era vestita la sopravvissuta, se si era ubriacata, esponendo la vittima a una gogna anziché mostrarle empatia. Se vogliamo invece prevenire femminicidi, stupri e abusi, dobbiamo partire con un radicale cambiamento culturale, rafforzando la consapevolezza nelle giovani generazioni dell’importanza del rispetto della libertà delle persone, combattendo gli stereotipi di genere e chiarendo il concetto di consenso.

Il governo pensa anche di intervenire per limitare l’accesso dei minori al porno sul web. È utile?

Sì, su internet c’è molta dis-educazione sessuale e incitamenti alla violenza. Anche al di là dei siti più o meno ufficiali di pornografia.

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