mercoledì 12 febbraio 2025
La neoleader spinge per un patto dei riformisti. Prende le distanze dai referendum sul Jobs act promossi dalla Cgil e dalla legge sul salario minimo puntando invece su contrattazione e partecipazione
Daniela Fumarola, segretaria generale della Cisl

Daniela Fumarola, segretaria generale della Cisl - ANSA

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Il primo «no» è all’ennesima proposta leghista di rottamazione delle cartelle esattoriali, a cui preferire decisamente «un taglio della seconda aliquota Irpef dal 35 al 32%». Il primo «sì» convinto, invece, è a un «patto dei riformisti». Daniela Fumarola – tarantina, 58 anni, laurea alla Cattolica di Milano in Scienze sociologiche e un esordio nella federazione pugliese degli operai agricoli – ha iniziato così il suo mandato alla segreteria generale della Cisl, appena dopo essere stata eletta dal Consiglio generale della confederazione con una votazione davvero “bulgara”: 188 sì su 191 presenti.


La linea esposta dalla neoleader è in continuità con quella sindacale, pragmatica e partecipativa portata avanti negli ultimi anni da Luigi Sbarra, forse ancora più esplicita. «Dobbiamo lasciare gli ormeggi del passato e aprire una stagione nuova di corresponsabilità e partecipazione», ha esordito. «Lo dico a due giorni dalla ricorrenza del Patto di san Valentino» (quello che nel 1984 avviò, sotto il governo Craxi, la sterilizzazione della scala mobile prodromica alla successiva politica dei redditi, ndr). «Dobbiamo impostare la rotta per arrivare a un grande accordo tra parti riformiste e responsabili, che impegni istituzioni, sindacato e imprese su obiettivi strategici comuni». Il riferimento all’accordo di san Valentino – che segnò la rottura dell’unità sindacale e l’auto-isolamento della componente comunista della Cgil (poi sconfitta al referendum sulla scala mobile) – suona oggi particolarmente attuale e significativo proprio riguardo ai rapporti con i «cugini» guidati da Maurizio Landini. Pur premettendo di non avere pregiudizi verso Cgil e Uil, infatti, Fumarola ha ribadito di volersi «ritrovare sui contenuti e sul metodo» - cosa che oggi manca – «senza un atteggiamento ideologico, ma con lo stile dell’autonomia dai partiti». Rimarcando le distanze nel merito, in particolare su due temi: il salario minimo, la cui fissazione secondo la Cisl non deve avvenire per legge, ma solo attraverso la contrattazione; i referendum sul Jobs act che non rappresentano uno strumento adatto né rispondono a un’esigenza reale (sul quesito sulla cittadinanza, la Cisl deve ancora decidere). Le vere sfide, infatti, per la neosegretaria sono anzitutto «ripensare le politiche attive per passare dalle tutele del posto di lavoro a quelle nel mercato, sostenendo le persone in ogni transizione lavorativa, garantendo il diritto-dovere all’apprendimento permanente e un sostegno al reddito legato a percorsi di riqualificazione. Dobbiamo lavorare insieme per un nuovo Statuto della persona nel mercato del lavoro». E poi agire su salario, orario, organizzazione del lavoro, deroghe, smart working, flessibilità e rappresentanza che «sono tutti elementi propri delle relazioni industriali, che devono essere negoziati e ritagliati sulle specificità di ogni settore, di ogni sito produttivo», cioè estendendo e sviluppando in particolare il secondo livello di contrattazione e la partecipazione con le imprese.

Il primo «comandamento» per Daniela Fumarola resta però quello della sicurezza: «Il lavoro per essere degno deve anzitutto essere sicuro». Serve anche qui «un grande patto per costruire insieme una strategia nazionale di intervento» e intensificare la lotta al caporalato in particolare in edilizia e in agricoltura. Più in generale, per la leader Cisl occorre «un accordo di responsabilità per far crescere il Paese, l’occupazione e realizzare una nuova politica dei redditi». E in questa direzione non c’è spazio per la rottamazione delle cartelle esattoriali, per una presunta pace fiscale: «Semmai si emettano più cartelle, si intensifichi la lotta all’evasione: pagare meno, pagare tutti. Va riequilibrato il sistema fiscale per lavoratori e pensionati e perciò chiediamo subito al Governo di abbassare la seconda aliquota Irpef dal 35 al 32% per sostenere il ceto medio».
Il Patto tra riformisti potrebbe partire dal fisco.

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