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La piazza della manifestazione - Matteo Nardone / ipa-agency.net
«Sono qui perché a mio nipote vorrei consegnare un’Europa piena di futuro», Enzo ha 80 anni e nella piazza del Popolo che ha accolto oltre 30 mila persone a Roma e in cui tante altre non sono neppure riuscite a entrare, tale era la calca, lui è venuto con il nipote Luca di 17 anni. Due generazioni unite da un’unica idea di Europa, «quella che ho conosciuto in Erasmus, dove mi sono costruito un’immagine chiara di cosa vuol dire essere cittadino europeo», dice il ragazzo, «quella fondata sui principi fondativi del Manifesto di Ventotene», fa eco il nonno che stringe il libretto in mano. “Io sto con Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni” sintetizza il cartello di Anna Maria, di Livorno, anche lei in piazza per dire: «Se questi signori, mentre erano in una situazione difficilissima, dentro una prigione in un'isola abbandonata, vittime di regimi, sono riusciti ad avere questo sogno di un’unione tra popoli senza più guerre e sopraffazioni, credo che anche noi possiamo tentare di fare qualcosa di simile, soprattutto in questo momento, pensando innanzitutto a un’unione politica, perché altrimenti è inutile parlare di eserciti e armi e lo si fa a danno del sociale».


Eppure, in questa piazza non c’è una sola idea di Europa, così come a sventolare non sono solo le bandiere della Ue, ma anche quelle della pace, dell’Ucraina, della Georgia, della Romania… In piazza è sceso un popolo che vuole la fine delle guerre, che vuole più Europa. Ma di che Europa stiamo parlando? «Perché non si può dire Europa senza connotarla e per me questa connotazione deve essere la pace», dice invece Rosanna Catalani, ex bancaria adesso in pensione arrivata da Pesaro con altre amiche, tutte avvolte nelle bandiere arcobaleno. «Non ho mai creduto nei rapporti di forza. La guerra non va pensata come una cosa che non si può evitare solo perché si è sempre fatta. Ragionando così non avremmo abolito nemmeno la schiavitù. Bisogna mettersi in un altro ordine di pensiero», aggiunge.
Una Ue basata su questo valore, insieme al principio di uguaglianza, è anche quella che Gabriele Comodi, professore universitario e vicesindaco di Fabriano, vorrebbe consegnare ai suoi figli, venuti in piazza col padre e la madre: «Hanno 16, 13 e 11 anni e sono cresciuti tutti in Europa. Per loro vorremmo che questa in futuro fosse sempre più senza frontiere, unita, giusta. Ma soprattutto oggi siamo qui perché proprio in questo momento di crisi crediamo vada rafforzata la partecipazione».
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Anche Alessio Lasina, un ricercatore 27enne del Piemonte, è qui per rispondere all’appello di partecipazione lanciato da Michele Serra. «Penso ci siano molte Europa oggi in questa piazza, però tutte accomunate dalla passione per questo territorio che ha avuto la fortuna e il privilegio di vivere in pace per tanti decenni». Per i suoi studi in agricoltura ha potuto viaggiare liberamente e per questo adesso «non vorrei che il tempo di pace finisse soprattutto per le generazioni future che non avrebbero più le mie stesse opportunità». Qui è venuto con l’amico Alessandro, ed entrambi da ricercatori e giovani che si occupano di ambiente, temono inoltre che a causa delle spese per le guerre e le tensioni geopolitiche, temi importanti come «i cambiamenti climatici e il Green Deal vengano messi in secondo piano».
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In piazza è sceso dunque sì l’orgoglio di essere europei, ma anche il desiderio di essere più forti e uniti per avere «un’Europa capace di definire il suo destino, proteggere la sua autonomia e i propri valori», dice invece Lucia Brusegan venuta da Padova con il marito Giovanni. Entrambi cattolici impegnati nelle attività pastorali della parrocchia, sono qui per sostenere la piazza, rassegnati all’idea «che il riarmo purtroppo è indispensabile per difenderci dal vicino di casa ingombrante, ma deve andare di pari passo a un’integrazione maggiore, a una vera difesa comune». Il dilemma di Lucia è un po' quello che sta nei cuori di tutte queste migliaia di persone scese in piazza: «Io sono contro la guerra, la odio. Ma che cosa vuol dire concretamente? Non posso accettare che innocenti ne facciano le spese, perché domani quell'innocente potrei essere io».

Di maggiore integrazione delle istituzioni parla anche Marco Mascia, presidente del Centro diritti umani Antonio Papisca dell'Università di Padova, che in mano ha il cartello "Disarm Europe", perché «non vogliamo solo la difesa comune, ma pure un’unione della politica fiscale, bancaria, estera, della cittadinanza». Chiedono più Europa, insomma, «istituzioni che siano in un corretto rapporto di scala con l’ordine di grandezza dei processi di mutamento a cui assistiamo nell’era della globalizzazione».

Sono arrivati da tutta Italia, dunque, perché «abbiamo bisogno sempre più di piazze, che non siano solo spazi. Piazze che devono essere riempite di significato dal punto di vista politico, diventando luoghi simbolici dell’Europa. Spazi in cui il pensiero critico, il confronto tra le diverse identità possano alimentare una cittadinanza consapevole, capace di costruire una visione collettiva fondata su valori condivisi e memoria storica», dice Giulia Brizzi, 35enne romana (del Quarto Miglio) e attivista che opera nel sociale. Sono tutti qui per guardarsi in faccia, scambiarsi visioni di futuro, non senza critiche verso un’Europa che ancora non piace a tutti, «perché spesso si muove in avanti per l’economia, ma su materie serie, come i migranti e i temi sociali, fa male o nulla», spiega infine Francesco Sarita, campano laureato in giurisprudenza e praticante avvocato. Con tante pretese, certo, ma con semplicità, questo popolo è qui anche solo «per mostrare che i cittadini europei esistono». E come racconta questa manifestazione, non sono pochi.