L'infettivologo Giovanni Di Perri, direttore del reparto Malattie infettive all'ospedale Amedeo di Savoia di Torino - Imagoeconomica
Di tre piani dedicati alla Malattie infettive, all’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, uno solo è rimasto esclusivamente dedicato ai pazienti Covid «e al momento – spiega il direttore Giovanni Di Perri – è mezzo vuoto. Negli ultimi tre mesi, a dire il vero, s’è trasformato in una grande reparto di geriatria: per lo più pazienti over 80, con gravi patologie pregresse respiratorie o cardocircolatorie, risultati positivi al tampone solo dopo l’ingresso». La più giovane, 65 anni, non vaccinata, in notevole sovrappeso, ha varcato la porta ieri mattina «e non corre rischi particolari. Faceva fatica a respirare prima, la fa a maggior ragione ora, senza che gli esami abbiano rilevato polmoniti». La differenza tra chi guarda i numeri e chi i malati emerge con tutta la sua forza nel racconto dell’infettivologo.
Professore, non sembra allarmato. Perché?
Perché credo non ci siano motivi per esserlo. Lo dico senza peli sulla lingua: se avessimo registrato 56mila casi di Covid a ottobre scorso, quando del virus dilagava la variante Delta, conteremmo i morti sui marciapiedi. Senza contare che i 56mila casi medi di questi giorni sono in realtà almeno tre volte tanti: un italiano su tre (e forse è ancora un numero sottostimato) scopre di essere positivo a casa, con un tampone fai da te, e non segnala il contagio alle Ats. Significa che con una media di oltre 150mila casi al giorno registriamo una trentina di ingressi in terapia intensiva e un centinaio in area medica: un’inezia, rispetto ai numeri di ospedalizzazioni a cui il Covid ci aveva abituati in passato.
I numeri dei ricoveri però potrebbero crescere repentinamente, come stanno facendo quelli dei contagi...
E lo faranno, ma non perché qualitativamente ci troviamo di fronte a un Covid letale o grave. I vaccini hanno fatto il loro lavoro e continuano a farlo: la maggior parte della popolazione ha sviluppato anticorpi contro la malattia e i risultati lo abbiamo visti nel corso dell’ultimo anno. Il problema con la variante attuale, BA.5 di Omicron, è la sua contagiosità: il virus, per ricominciare a correre, ha stravolto il suo mantello adattandosi alle cellule epiteliali delle vie aeree superiori. Oggi incontriamo pazienti con mal di gola fastidiosissimi, in alcuni casi tracheiti, ma senza polmoniti: per intendersi, nel nostro reparto di Torino non incontriamo una polmonite bilaterale da Covid da oltre tre mesi. E chi muore, o è morto da Natale in avanti, lo ha fatto con il Covid, non a causa del Covid. Si è detto spesso che Omicron assomiglia a un’influenza: vi assomiglia nel senso che diventa pericolosa soltanto per chi ha quadri di salute già compromessi, per i più fragili e i più anziani con malattie pregresse, soprattutto se non vaccinati. In questi casi, proprio come fa l’influenza, il Covid fa precipitare i quadri clinici, li scompensa. Da Natale non vediamo pazienti giovani nei nostri reparti.
Il problema quindi, dice lei, è quantitativo: ricoveri, e dunque casi gravi, aumentano solo tra i più anziani e i più fragili (specie se non vaccinati) perché i casi sono più di quanti ne abbiamo mai avuti.
È così, e qui pesa con forza anche lo squilibrio demografico del nostro Paese a favore degli anziani. Mi spiego ancora meglio però: il problema è che l’influenza agisce in questo modo, compromettendo i quadri clinici più precari, soltanto 8 settimane all’anno, nei mesi invernali. Il Covid invece – e ce lo sta dimostrando con questa fiammata estiva – lo fa sempre. A giugno o luglio non abbiamo mai avuto malattie delle vie respiratorie prima, ora dobbiamo fare i conti con questa.
Occorre tornare alle restrizioni?
Sarebbe assurdo, a livello generalizzato e coercitivo. Quello che invece è essenziale – e dovremmo averlo imparato tutti dopo due anni di pandemia – è la responsabilità individuale: se ho più di 70 anni, ho malattie pregresse e magari non sono vaccinato devo indossare sempre la mascherina e prestare attenzione al mio stile di vita. Se ho parenti anziani, fragili e non vaccinati devo incontrarli con la mascherina, o evitare di incontrarli, devo metterli meno a contatto coi bambini. Il nostro comportamento, insomma, dev’essere proporzionale al rischio che sappiamo di correre o di far correre alle persone che ci circondano. Nel piano inclinato verso l’endemizzazione del virus quello che sta accadendo non è necessariamente negativo: migliaia di persone stanno acquisendo un’immunizzazione spontanea competente contro la variante che diventerà dominante nei prossimi mesi. L’obiettivo è restare in equilibrio col virus: sta a noi imparare a farlo come con gli altri.