venerdì 4 aprile 2025
«Abbiamo le carte per superare la sfida», ripete la premier nel Cdm.Ma intanto sente Starmer, convoca un vertice per lunedì e chiede uno studio sui danni
L'appello anti-panico di Meloni: «L'allarmismo può fare più danni dei dazi»

MARCO ZACCAGNINI / ipa-agency.net

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Sostenere che i dazi «non sono una catastrofe» non vuol dire che non servano contromisure, magari cominciando da una revisione del Green deal europeo. Gli allarmismi, però, non aiutano e anzi rischiano di amplificare il danno, con ripercussioni devastanti per la nostra economia. Il giorno dopo il D-day del commercio globale scatenato da Donald Trump, la linea di Giorgia Meloni non cambia e si assesta su quella già abbozzata con le prime dichiarazioni a caldo di giovedì sera: la mossa di Washington è l’occasione per sciogliere i nodi più controversi della politica economica europea; e piuttosto che innescare una guerra economica, è meglio concentrarsi sulle possibili alternative, specie in campo energetico. Nel frattempo occorre calcolare tuttavia i possibili danni: allo scopo il governo sta già preparando uno studio sull'impatto «settore per settore». La settimana prossima vedrà - martedì 8 - i rappresentanti delle categorie produttive, mentre gli alleati sono attesi lunedì a Palazzo Chigi per un vertice dedicato.

La premier prospetta lo schema già in mattinata (a margine della visita sull’Amerigo Vespucci a Ortona) e in serata lo ripropone in Consiglio dei ministri. Si dice «ovviamente preoccupata» di fronte a «una sfida complessa», ma torna a bandire ogni catastrofismo, perché il Paese «ha le carte in regola per superare» la crisi. Certo, non si può negare lo «choc» causato da «una decisione sbagliata e penalizzante», anche perché quello americano «è un mercato importante» e «vale circa il 10% della nostra esportazione». Ma le preoccupazioni delle opposizioni sono «più pericolose del fatto in sé», che anzi offre l’opportunità di riflettere su una deroga al Patto europeo di stabilità, come aveva detto già giovedì sera. Del resto, l’accordo tra i 27 contempla «una clausola generale di salvaguardia, che prevede una sospensione» e «forse dovremmo ragionare di quello».

La presidente del Consiglio (che in giornata ha avuto una telefonata sugli «sviluppi internazionali» con Keir Starmer, primo ministro britannico) punta il dito anche sul Green deal, riprendendo un concetto caro a Matteo Salvini, da sempre nemico del progetto europeo per l’automotive: «Se abbiamo una difficoltà, questo deve portarci a lavorare sul sistema competitivo delle nostre aziende. Sappiamo che l'automotive è un settore colpito particolarmente dai dazi, quindi dovremmo ragionare di sospendere le norme del Green deal sul comparto». Anche perché se i dazi all’import possono essere «in parte assorbiti», ragiona la premier Meloni, il neoprotezionismo americano può impattare indirettamente anche sull'indotto italiano che produce le auto tedesche.

Più in generale, continua Meloni, «bisogna essere un po' più decisi e coraggiosi sull’energia», possibilmente accelerando la riforma del mercato, in modo da valutare «su che cosa anche noi possiamo fare sfruttando una difficoltà, per farla diventare un modo per fare dei passi avanti importanti in una fase che lo richiede».

C’è poi il tema scottante del rapporto con Trump, che le opposizioni non hanno mancato di rinfacciare accusando Meloni di voler anteporre le sue relazioni con il presidente americano a quelle con l’Ue. La premier, però, insiste che il dialogo con gli Usa è necessario «per l'interesse italiano, europeo e occidentale», perché le «nazioni occidentali sono fortemente interconnesse e politiche protezionistiche così incisive danneggeranno non solo l’Unione Europea, ma anche gli Stati Uniti». Quindi, aggiunge, «non penso che in una fase come questa sia utile divaricare ulteriormente». Molto meglio «continuare a cercare delle soluzioni comuni, perché alla fine altrimenti ci indeboliamo tutti».

In ogni caso, quello che conta davvero è evitare che il panico prenda il sopravvento tra le imprese e nei cittadini, perché la misura del problema è «di un ordine di grandezza affrontabile»; a tal proposito fa l’esempio della bottiglia di vino, che oggi arriva sui mercati esteri con «un ricarico spesso superiore al 200%» e quindi, lascia intendere, un 20% si può assorbire. Mentre «la situazione che si potrebbe creare nel caso in cui si scatenassero aspettative negative tra i consumatori, potrebbe portare a una contrazione dei consumi e degli investimenti delle imprese».

Inutile dire che la direzione indicata da Palazzo Chigi non trova sponda nel centrosinistra. E la segretaria del Pd, Elly Schlein, lo fa capire in modo eloquente: «Meloni sostiene che non abbiamo fatto proposte e invece da mesi chiediamo al governo di non sottovalutare la guerra commerciale annunciata da Trump. Ma la premier è stata ambigua e non ha messo in campo alcuna risposta». Esattamente l’opposto di quanto ha fatto Pedro Sanchez in Spagna, osserva ancora la leader dem, «che invece ha già messo in campo 14 miliardi per proteggere famiglie e imprese». Anche il presidente del M5s, Giuseppe Conte, richiama con ironia il piano spagnolo («Da noi invece ci pensa Meloni, ma con calma»), mentre il portavoce di Avs, Angelo Bonelli, accusa la premier di «servilismo» verso Trump e si scaglia contro l’intenzione di «demolire il Green deal». Più misurata, ma comunque incisiva, la critica di Carlo Calenda: «Quello che evidentemente non comprendono nel governo è che i dazi di Trump hanno innescato una generalizzata crisi di fiducia. E questa conduce alla recessione e alle crisi finanziarie».

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