La lettera firmata da una lettrice veneziana che proponeva la candidatura di Lampedusa al premio Nobel per la pace il 30 marzo 2011. E la risposta del direttore di Avvenire Marco Tarquinio che accoglie e rilancia la proposta, definendo il premio Nobel per Lampedusa un «Nobel comunitario, eloquente, emblematico e altamente educativo».Caro direttore,
non ho parole per esprimere il mio dispiacere per quello
che succede a Lampedusa. Io sono a Venezia e guardo dalla finestra le migliaia
di turisti che sbarcano dai vaporetti e penso a quanto sono fortunati,
in mezzo ai miei concittadini che invece si sentono «logorati, scocciati
e invasi» dai cosiddetti turisti pendolari. Infastiditi da queste "invasioni",
sembrano lamentarsi con le parole di Arnaldo Fusinato: «... ed io sul tacito
veron seduto, in solitaria malinconia ti guardo e lagrimo, Venezia mia!».
Mi chiedo che cosa sia la "sopportazione" dei veneziani nei confronti di
questi "pendolari" (che pure portano qualcosa nelle casse di una città
che "vive" esclusivamente di turismo) rispetto a quella dei lampedusani
verso chi vi sbarca per salvarsi da regimi sanguinari o per fuggire dalla
fame e dalla miseria in cerca di un avvenire. Il "turismo" che approda
a Lampedusa è ovviamente di tutt'altro genere e si può immaginare che la
sopportazione degli isolani sia ben più dura e pesante e bisogna dire che
finora è stata più che composta e ammirevole. Oltre tutto, da questi "turisti
per caso" gli abitanti dell'isola non ricevono assolutamente nulla, anzi...
Tanto di cappello, dunque, a quei
lampedusani che hanno dimostrato un eccezionale
spirito di
accoglienza, accettando e aiutando come possono le migliaia
di migranti che girano tra le loro case... messi allo sbaraglio da "un
sistema" che langue e latita. Vorrei proporli per il
Nobel per la Pace.
Come si fa a candidarli? Cordiali saluti.
M.M., Venezia
La risposta del direttore di Avvenire, Marco TarquinioSono totalmente d'accordo con lei, e proprio per questo non condivido (ma
rispetto) la richiesta che mi fa di non firmare per esteso la sua lettera...
I fatti di questi giorni sono la continuazione di una storia di accoglienza
faticosa, complicata, un po' contraddittoria e umanamente generosa come
tutte le storie vere – che si sta scrivendo da anni sulle coste, sui moli
e tra le case di
Lampedusa. Quello ai cittadini dell'isola sarebbe, perciò,
certamente un
Premio Nobel per la Pace giustificato. Un Nobel «comunitario»,
eloquente, emblematico e altamente educativo. Anche nei confronti di quegli
esponenti politici di casa nostra che si mostrano incapaci di capire che
cosa sta accadendo sulle rive meridionali del Mediterraneo e, in qualche
caso, fanno mostra di una straordinaria e urtante insensibilità. Anche
ieri, purtroppo, ne abbiamo avuto l'esempio... Peccato per loro e per il
nostro Paese, nel quale certe uscite vernacolari e volgarotte sul tipo
di quella che s'è inventato ieri Umberto Bossi eccitano i sentimenti e
le reazioni più superficiali, impaurite e inconsulte. Meglio prendere esempio
dalla gente semplice. Come le mamme e i papà che a Lampedusa si sono dati
gioiosamente da fare per il neonato etiope Yeabsera (leggere il "dulcis
in fundo" pubblicato qui sotto farà bene a tanti). Se questa volta il Premio
Nobel per la Pace andasse a gente così, sarebbe davvero giusto e bello.
E, soprattutto, quest'anno nessuno avrebbe il dubbio di averlo assegnato
con un po' troppa precipitazione al famoso o potente di turno. Ricambio
di cuore il suo saluto.