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Nei 226 canili rifugio in attività ci sono 36.766 posti disponibili, ma ospitano ben 92.371 cani, 2,5 volte in più. Responsabilità di chi compra un animale e poi alla prima difficoltà lo abbandona, di un’inefficiente gestione dei comuni e anche di interessi non sempre limpidi. La spesa per la gestione degli animali in città ammonta complessivamente a 228.682.640 euro nel 2019 (con un incremento del 3,6% rispetto all’anno precedente). I Comuni dichiarano, infatti, di aver speso per questa voce 156.857.113 euro, a cui vanno sommati i 71.825.527 euro spesi dalle aziende sanitarie. La maggior parte dei costi attuali è assorbita proprio dai canili rifugio, per i quali i Comuni dichiarano di spendere il 59,3% del bilancio destinato al settore (circa 93 milioni di euro stimati per il 2019) e di gestire in proprio il 2,2% di queste strutture, tramite ditte o cooperative con appalto pubblico il 21,7%, tramite associazioni in convenzione il 27,9%. Per il rimanente 48,2% non è dato sapere. E questo dato dovrebbe preoccupare. Dunque spesa pubblica in aumento, milioni di “clandestini”, grandi disparità tra territori. Numeri di fine 2019 e che con la pandemia rischiano di aumentare. Lo denuncia Legambiente nella nona edizione del rapporto “Animali in città”, frutto delle informazioni raccolte dai comuni e dalle Asl.
“Ci prepariamo ad affrontare una crisi economica e sociale post pandemia - denuncia Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente - che rischia di ripercuotersi anche sui milioni di animali da compagnia che abitano nelle nostre case e riempiono spazi relazionali importantissimi. Senza aiuti concreti, si rischiano scelte dolorose e l’aumento di abbandoni. Prevenire e accompagnare queste difficoltà, con iniziative diffuse, pubbliche e private, sarà essenziale per garantire il benessere a persone e animali”. Ma quanti sono cani e gatti in Italia? I numeri, denuncia Legambiente, “continuano a restituirci un quadro parziale e frammentario, a causa del funzionamento a volte inesistente dell’anagrafe canina, ad oggi ancora l’unica anagrafe animale obbligatoria per i milioni di animali da compagnia presenti nelle case degli italiani”. Secondo le amministrazioni comunali che hanno risposto, la media è di un cane ogni 7,5 cittadini residenti; ma solo il 36,1% dei Comuni rispondenti conosce il numero dei cani iscritti all’anagrafe nel proprio territorio, per un totale di 1.060.205 cani su 7.913.890 residenti. Se a Capo di Ponte (BS) si registra un cane ogni 1,4 residenti, nelle vicine Cisano Bergamasco (BG) e Capriate San Gervasio (BG) troviamo, rispettivamente, un cane ogni 6.261 residenti e ogni 4.059 residenti. Se però consideriamo le informazioni ricevute dalle Aziende sanitarie locali “virtuose” come ATS Insubria (Varese e Como) abbiamo un cane per ogni cittadino, o per ATS Brianza (Monza e Lecco) un cane ogni 3 cittadini. Sulla base delle anagrafi territoriali più complete, la stima del numero di cani presenti in Italia, che oscillano tra 3 e 2 per cittadino residente, va dai 19.800.000 ai 29.800.000. Numeri analoghi per i gatti. Sono 490 i Comuni che dichiarano di aver dato lettori di microchip in uso al personale, per un totale di 784 lettori: in media 1,6 per amministrazione. Solo il 29,7% dei Comuni dichiara di monitorare le colonie feline presenti nel proprio territorio e da questi monitoraggi risulterebbero 16.650 colonie, con oltre 143.530 gatti e 8.881 cittadini impegnati. Tornando a quanto si spende, il Rapporto denuncia come “tra risorse impegnate e risultati ottenuti, solo 11 dei Comuni campionati (1%) raggiunge una performance eccellente”. Si tratta di Verrès (Ao), Moruzzo (Ud), Prato, Costigliole Saluzzo (Cn), Gravere (To), Amandola (Fm), Sarnonico (Tn), San Gillio (To), Savona, Cupramontana (An) e Casalciprano (Cb). Ma che fine fanno i cani dei canili? Secondo i Comuni, in media su 5 cani vaganti catturati e portati in canile rifugio per 4 è stata trovata una felice soluzione (tra restituzioni ai proprietari, adozioni o re-immissioni come cani liberi controllati); secondo le Asl il rapporto è di uno a uno. Ma, come per il numero di presenze registrate, i dati di dettaglio restituiscono situazioni estremamente diverse. Se, per esempio a San Lazzaro di Savena (Bo), Rapolla (Pz) e Acquedolci (Me) per un cane preso in carico è stata trovata soluzione per 10 altri, a Parete (Ce) è stato ricollocato un solo cane su 39 presi in carico, a San Nicola la Strada (Ce) uno su 34, a Mirabella Imbaccari (Ct) uno su 20 e a Montalbano Jonico (Mt) uno su 11. La Asl di Taranto non ha trovato soluzione per nessuno dei 795 cani presi in carico. Scarseggiano le aree cani: solo il 24,2% dei Comuni dichiara di avere spazi dedicati all’aperto. Appena il 14% è in contatto con un centro di recupero per animali selvatici a cui indirizzare chi dovesse trovare un uccello ferito e la percentuale scende al 9% se si trova un mammifero ferito, al 2% se si trova una animale marino o un rettile in difficoltà, e all’1% se si trova un animale esotico ferito. Solo l’8,7% delle Aziende sanitarie dichiara di conoscere i dati sanitari degli animali ricoverati presso questi Centri: 4.847 animali selvatici ricoverati nel corso del 2019. Infine per quanto riguarda i regolamenti e le ordinanze, il 35% dei Comuni dichiara di avere un regolamento per la corretta detenzione degli animali in città; l’accesso ai locali pubblici e negli uffici in compagnia dei propri amici a quattro zampe è regolamentato nell’11% dei Comuni, mentre i Comuni costieri che hanno regolamentato l’accesso alle spiagge sono ancora il 14,9%. Solo il 6% dei Comuni rispondenti ha approvato regolamenti per facilitare le adozioni dai canili con agevolazioni fiscali o sostegni; il 3% un regolamento per facilitare, con agevolazioni fiscali o sostegni economici la sterilizzazione, o contrastare, con oneri fiscali, chi detiene riproduttori e cucciolate, mettendo un freno all’attuale, incontrollata, popolazione riproduttiva canina e felina.