venerdì 4 aprile 2025
Le strutture si preparano ad accogliere nuovi “ospiti” già dalla prossima settimana: saranno migranti in attesa di espulsione, dato che per i profughi salvati in mare pende la sentenza della Corte Ue
In queste immagini le strutture e i container del centro di Gjader, in Albania

In queste immagini le strutture e i container del centro di Gjader, in Albania - Fotogramma

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I container del centro migranti di Gjader sono come nuovi, inutilizzati da mesi, con le gabbie alle finestre. Attendono a giorni i nuovi ospiti dall’Italia, in arrivo forse da domenica. Saranno primi ospiti prelevati dai centri di permanenza per il rimpatrio, i Cpr, in attesa di espulsione dall’Italia e dovrebbero sbarcare nel vicino porto di Shengjin, dove un resort sul mare ospita le forze dell’ordine italiane. Da tempo sono stati richiamati alcuni dipendenti dei Medihospes, la coop sociale che ha vinto la gara da 133 milioni messa al bando dalla Prefettura di Roma per gestire i centri di Gjader, destinato alla detenzione e di Shengjinn, dove avviene l’identifcazione e in questa fase non serve. Sulla strada da Gjasr ad Alessio gira un cellulare della polizia italiana. La capienza iniziale di 49 posti arriverà a 140. Poco chiari i motivi del trasferimento, i Cpr italiani non sono sovraffollati. Il centro sorge in una zona semidesertica del centro nord, arrea a precalenza cattolica accanto a un villaggio rurale, in fondo alla vecchia pista d’atterraggio dell’aviazione comunista di Enver Hoxha, adagiato contro colline piene di tunnel segreti che il paranoico dittatore comunista - ossessionato da possibili invasioni da Italia, Turchia e Jugoslavia - aveva bucato per nasconderci gli aerei. Che sono ancora lì memori di una dittatura stalinista che aveva ridotto il piccolo paese delle aquile in miseria per edificare bunker ovunque.
Dato l’interesse dell’Ue e dei governi dei 27 per quello che pare un esperimento sui diritti dei migranti, in questo angolo di ‘900 si gioca una partita importante in Europa.

Il protocollo siglato tra il governo di Giorgia Meloni e l’esecutivo albanese socialista di Edi Rama prevede infatti che nel centro vengano rinchiusi i profughi salvati in mare e provenienti da paesi cosiddetti sicuri. Quindi inattesa di rimpatrio. Ma, hanno sottolineato alcuni giuristi, l’Italia ha realizzato a Gjader anche un centro di detenzione e un Cpr per i migranti in attesa di espulsione non previsti nel protocollo. Inoltre nessuno verrà espulso dall’Albania, ma dovrà tornare in Italia. Convitato di pietra in Albania è la Corte europea di giustizia che a fine maggio dovrà dare una definizione di Paesi d'origine sicuri, tema che ha portato alla bocciatura dei trasferimenti da parte dei giudici italiani e infinite polemiche. Ma con la novità del Cpr albanese, come ammettono i parlamentari di opposizione che arriveranno a staffetta per entrare nel centro e verificare le condizioni dei detenuti, il governo si muove in una zona grigia decisa per decreto. Il ministro dell’Interno Piantedosi ha spiegato che il centro albanese è aggiuntivo a quelli italiani, che dovrebbero aumentare di cinque unità entro fine legislatura e che il trasferimento dei migranti a Gjader avverrà “a invarianza di spesa” con le procedure seguite per i trasferimenti dei migranti tra i centri in territorio italiano. Piantedosi ha sottolineato come la distanza tra un centro italiano e le strutture albanesi sia analoga a quella da Macomer, in Sardegna, a Milano.

Altre immagini del centro di Gjader, in Albania

Altre immagini del centro di Gjader, in Albania - .

I dati riportati da Action Aid nel rapporto “Trattenuti”, dimostrano che il centro di Macomer, insieme a quello di Palazzo San Gervasio in Basilicata, i più decentrati e per le cui esigenze è necessario movimentare personale da altre questure, registravano nel 2023 una spesa relativa di 1.450.000 Euro per vitto e alloggio delle forze dell'ordinea fronte di una media di gestione di 1.410.000 euro. Quindi costano più le forze dell'ordine che gestire la struttura. Sui costi complessivi dei centri in Albania da tempo è guerra di cifre, con il governo che prevede di spendere circa 670 milioni in 5 anni, pur ammettendo che potrebbe aumentare. Opposizioni e Ong stimano che si arrivi a un miliardo. Senza contare le condizioni di salute e i maltrattamenti dei detenuti, denunciati dopo una visita di un anno fa in quattro centri italiani dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d’Europa dei detenuti. Ma è l’utilità dei Cpr a far discutere. Secondo la Fondazione Migrantes, nel 2023 su oltre 28.000 stranieri colpiti da provvedimento di espulsione, solo 2.987, il 10%, sono stati rimpatriati da questi centri L'arcivescovo di Ferrara Comacchio Giancarlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, ha chiesto più volte «se sia una soluzione all'irregolarità del nostro Paese, dove si stimano tra i 300 e i 400 mila irregolari, quello dei mille posti totali dei centri in Albania. La preoccupazione è anche per lo spreco di risorse che potrebbero essere usate per un'integrazione reale e sicura. Si era detto che la strada migliore fossero i rimpatri assistiti, piuttosto che rinchiudere una persona per 18 mesi che poi torna fuori. Perché il 50% dei reclusi nei Cpr torna indietro e che siano in Italia o in Albania conta poco».

«L'impatto occupazionale sarà debole - conferma il giovane parroco di Jader e altri villaggi don Emilian PaloKa - e i ragazzi da qui se ne vanno, mancano opportunità in questa terra che deve recuperare speranza». Ci sono perplessità dato l’arrivo delle risorse per i centri per il rischio di corruzione - diffusa in Albania pur con qualche passo avanti nella classifica di Trasparency international grazie all’azione dei giudici della Spak che stanno facendo pulizia dei politici socialisti al potere - e per la possibile infiltrazione della potente mafia albanese, la seconda in Europa, che ricicla e investe su tutta la costa, compresa Shengjin. Semideserta, con i suoi palazzoni sul mare figli della speculazione edilizia selvaggia, e del riciclaggio vuoti in attesa del l’estate. Accanto al porto aspetta gli italiani la famosa trattoria Meloni, con le immagini della premier diventata attrazione turistica alle pareti e il menù rigorosamente italico. La pensa diversamente il celebre chef di Slow food Antrim Tringa in Italia dove ha imparato il valore della tipicità. Tornato in Albania nel 2009, ha ristrutturato un cascinale e un vecchio un lager del regime comunista e aperto un agriturismo.
«Mi spiace - dice - che la mia terra ospiti di nuovo un lager che non porterà sviluppo.» Questa è terra di migranti.

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